Mangeremo meno carne, più legumi e l’agricoltura sarà solo bio. Cambierà così la nostra tavola, dicono gli esperti. In gioco c’è la nostra salute e quella del pianeta
Se l’immagine di un contadino curvo sul suo piccolo appezzamento di terra e quella di un allevatore che sorveglia da lontano la sua mandria di mucche al pascolo vi sembrano cartoline dei tempi passati, vi sbagliate. Al contrario, si preparano a diventare il futuro dell’agricoltura.
Nel 2050 si prevede che saremo 9,2 miliardi nel mondo e per sfamare tutti servirà coltivare la terra e allevare gli animali con sistemi che consumino meno energia, non immettano nell’atmosfera gas che surriscaldano il pianeta, non costringano a tagliare le foreste per fare spazio ai campi agricoli e non inquinino le acque e i suoli. Secondo alcuni scienziati l’agricoltura biologica sarebbe la risposta giusta a queste richieste, ma a una condizione: dovremo abituarci a mangiare, su una media globale, 3-4 volte meno proteine animali (carne, latte, uova) di quanto facciamo oggi. «Nessun sistema da solo nutrirà il mondo, ma il biologico è il migliore che abbiamo», afferma Nadia El-Hage Scialabba, ricercatrice della Food and Agriculture Organization (Fao) nel dipartimento per la gestione delle risorse naturali e dell’ambiente.
Un cambio di abitudini così radicale non sarà facile, soprattutto nei Paesi che stanno uscendo dalla povertà e che vogliono seguire i modelli di vita e di consumi delle ricche popolazioni occidentali. «Oggi però la scienza sta dimostrando che mangiare troppe proteine animali favorisce lo sviluppo di molte malattie, fra cui i tumori. Mangiarne di meno è una scelta vantaggiosa per la nostra salute, non solo per l’ambiente e per il futuro del nostro pianeta che se si continua sulla strada dell’agricoltura chimica e intensiva collasserà», avverte Scialabba.
Perché costa di più
Un alimento è biologico quando proviene da agricoltura biologica oppure, se si tratta di un prodotto trasformato dall’industria alimentare e confezionato, quando contiene almeno il 95 per cento di ingredienti provenienti da agricoltura biologica: solo così sull’etichetta è ammessa la scritta “biologico” e il prodotto è certificato come tale da un organismo di controllo. Ma le perplessità tra i consumatori sono ancora tante. I prodotti bio sono più costosi perché: le coltivazioni danno meno rese; rinunciare ai diserbanti costringe a usare tecniche più dispendiose per togliere le erbe infestanti; senza i fertilizzanti chimici le aziende devono spendere di più per fare la rotazione delle colture che ripristina la fertilità del suolo. Il problema del prezzo secondo alcuni esperti sarà difficile da superare. Un gruppo di agronomi ed economisti dell’Università del Minnesota, negli Stati Uniti, ha condotto un esperimento durato 18 anni con coltivazioni di soia, mais, avena ed erba medica per confrontare il rendimento economico delle coltivazioni biologiche con quelle convenzionali. Gli scienziati hanno concluso che coltivare senza pesticidi e rispettando l’ambiente conviene agli agricoltori fino a quando si può vendere il raccolto a prezzi superiori, ma se il prezzo del bio è pari a quello del prodotto convenzionale l’agricoltore non ci guadagna più.
Una mela bio ha più vitamine?
Se poi consideriamo che un ortaggio o un frutto biologico non derivano da colture in cui la natura è stata “forzata”, ecco spiegato perché spesso il loro aspetto non invita all’acquisto. In molti si chiedono: perché devo spendere più soldi per comprare una mela “brutta”, piccola, magari un po’ ammaccata? Perché per produrre quella mela non sono stati usati pesticidi e fertilizzanti sintetici, quindi non rischio di ingerire residui di queste sostanze. Gli dati dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale dicono che in Italia il 55 per cento delle acque superficiali (fiumi, laghi, stagni o acque libere) contiene residui di pesticidi e spesso in concentrazioni molto alte.
Inoltre, esistono studi che hanno dimostrato come i prodotti bio contengano più vitamine, antiossidanti, acidi grassi omega 3 (soprattutto nel caso del latte) di quelli provenienti da agricoltura convenzionale. Il dibattito tra gli scienziati su questo tema però è aperto e altre ricerche hanno evidenziato che non esistono differenze nutrizionali tra bio e non bio. Mentre la scienza concorda sul fatto che i cibi biologici non contengono più muffe di quelli convenzionali e non hanno residui di pesticidi, antibiotici e ormoni. L’uso massiccio degli antibiotici negli allevamenti intensivi ha provocato l’aumento di batteri resistenti a questi farmaci e ha fatto diminuire la qualità nutrizionale degli alimenti. Ci sono poi gli aspetti economici e sociali.
Potrà sfamare il mondo
Per fare un po’ di conti in questa “guerra” tra bio e non bio, la Fao ha commissionato all’Istituto di ricerca sull’agricoltura biologica di Frick, in Svizzera, uno studio sugli effetti che si avrebbero se passassimo dagli attuali sistemi intensivi di allevamento degli animali e di coltivazione dei cereali al sistema di agricoltura biologica globale senza mangimi, in cui gli animali si alimentano al pascolo o con gli scarti delle lavorazioni agricole. Per la ricerca sono stati usati metodi matematici statistici e i risultati indicano che con il modello bio avremmo rese agricole sufficienti a sfamare l’umanità nel 2050, riducendo però il consumo di proteine animali nella nostra dieta dall’attuale 15 per cento al 4 per cento e sostituendole per esempio con i legumi. Lo studio ha dimostrato che diminuirebbero il surriscaldamento del pianeta, il consumo di energia, l’inquinamento e la deforestazione, mentre aumenterebbero la biodiversità, cioè la varietà degli organismi viventi in natura, e la disponibilità di vegetali.
Stop agli sprechi
La produzione intensiva è distribuita male e non serve a sfamare tutta la popolazione: il dieci per cento del cibo che si acquista nel nord del mondo finisce nella spazzatura e negli Stati Uniti anche più del 40 per cento. E le statistiche dicono che nei Paesi occidentali il numero degli agricoltori sta crollando. Perché i prezzi della produzione intensiva che inquina non sono remunerativi per gli agricoltori, ma soltanto per le grandi aziende alimentari. L’agricoltura biologica, invece, valorizza le piccole e medie imprese e contribuisce a mantenere vive le campagne».
8 regole da rispettare per definirsi bio
I principi del biologico sono stabiliti dal Regolamento 834/2007:
- rotazione delle colture e sovescio (interramento di piante) per aumentare la fertilità;
- divieto di usare pesticidi e fertilizzanti sintetici, ormoni e stimolatori della crescita e della produzione di latte. Si possono usare sostanze di origine naturale per tenere lontano gli insetti infestanti (piretrine, batterio Bacillus thuringensis, zolfo, solfato di rame ecc.) oppure insetti predatori come per esempio le coccinelle;
- limiti molto ristretti nell’uso di antibiotici per gli animali (solo se altri farmaci risultino inefficaci) e di additivi negli alimenti (conservanti, coloranti e aromi);
- divieto di usare organismi geneticamente modificati (Ogm), organismi viventi in cui il Dna è stato modificato in laboratorio;
- uso delle risorse del luogo, come il letame per fertilizzare la terra e la coltivazione dei foraggi per il bestiame nell’azienda agricola;
- scelta di piante e animali che resistano alle malattie e si adattino alle condizioni del luogo;
- rispetto del benessere degli animali allevati in spazi ampi per muoversi, possibilmente all’aperto, liberi di pascolare e nutriti con foraggio biologico;
- pratiche di allevamento appropriate per le diverse specie di bestiame nel rispetto dei loro ritmi di crescita fisiologici.
Storia dell’agricoltura: dalle prime coltivazioni tips all’arrivo dei fertilizzanti chimici e alla nascita del bio
11.000 a.C. (Neolitico)
Le prime coltivazioni agricole (orzo, miglio e frumento) si sviluppano nella Mezzaluna Fertile (Mesopotamia, Anatolia sud-orientale, Palestina). La prima tecnica è “taglia e brucia”: si abbattono gli alberi e poi si incendia il sottobosco rimanente. Terminato l’incendio, sul terreno resta la cenere che lo fertilizza.
5.000 a.C.
In Mesopotamia si mette a punto l’aratro e si irrigano i campi con la canalizzazione dei corsi d’acqua.
I a.C.-I d.C. I Romani introducono attrezzi e pratiche che resteranno immutati sino al Medioevo: potatura, concimazione e innesto, maggese (riposo a rotazione), sovescio (interramento di particolari colture) e spargimento di letame, oltre alla realizzazione di mulini ad acqua.
Fine XVII – inzio XVIII secolo
In Inghilterra è introdotto un nuovo sistema di rotazione delle colture che permette di ottenere raccolti ogni anno, alternando cereali, ortaggi, legumi e foraggio.
1842
L’inglese John Bennet Lawes brevetta il primo fertilizzante chimico, il superfosfato di calcio.
1924
L’austriaco Rudolf Steiner formula i principi dell’agricoltura biodinamica, il primo metodo di coltivazione che rigetta l’impiego di sostanze chimiche, tossiche e non naturali.
1932
Lo svizzero Hans Müller e l’austriaco Hans Peter Rush elaborano i primi metodi di agricoltura biologica.
1950
In Italia, molto in ritardo rispetto ad altri Paesi, si diffonde l’uso sistematico di concimi chimici al posto del letame, di diserbanti, insetticidi, antiparassitari e pesticidi di sintesi.
1972
A Versailles, in Francia, viene fondata l’IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements), la più importante organizzazione di produttori di agricoltura biologica.
1988
Nasce a Torino l’Associazione Italiana di Agricoltura Biologica.
