Mamma e papà ci trasmettono le “informazioni” necessarie alla vita, il cosiddetto Dna. Le ultime ricerche dimostrano che ereditiamo anche le abitudini (buone e cattive): se il nonno ha patito la fame, per esempio, il nipote vivrà più a lungo perché si ammalerà di meno
Le colpe dei padri ricadranno sui figli e poi sui figli dei loro figli»: la “maledizione” biblica oggi trova riscontro nella genetica. Sembra ormai certo che i genitori non trasmettono ai figli soltanto la doppia elica del Dna e il proprio ambiente culturale, ma anche le tracce delle loro “esperienze” sotto forma di piccole molecole che vanno a modulare l’attività dei geni. Se un signore ha patito la fame da ragazzino, per esempio, la salute del nipote ne porterà i segni: quel bambino vivrà più a lungo rispetto a un coetaneo che ha un nonno ben nutrito da piccolo e che rischia, però, di morire prima di diabete. La scoperta è stata fatta dal medico Lars Olov Bygren su 99 abitanti della sperduta contea svedese di Norrbotten, colpita in passato da gravi carestie, e dimostra che le informazioni nutrizionali sono passate dai padri ai figli, fino ai nipoti. Deve essere accaduto qualcosa negli spermatozoi dei nonni, ma il codice genetico non cambia così velocemente, in una sola generazione e in un intero gruppo di persone.
Di padre in figlio
Come può trasmettersi un trauma attraverso le generazioni se il Dna non cambia? Fino a pochi anni fa, neanche ci si poneva la domanda: «È impossibile ereditare le esperienze dei genitorifi», asseriva il dogma della biologia molecolare. E invece pare proprio che gli ovuli e gli spermatozoi mantengano qualche “ricordo” del nostro stile di vita sotto forma di molecole che controllano l’attività dei geni e lo tramandino all’embrione. La notizia porta buone e cattive notizie. Partiamo dalle cattive: se fumo come un disperato o mangio male non solo rischio di accorciare la mia esistenza, ma in”uenzo anche la salute dei miei futuri figli. La buona notizia è che possiamo agire sui “lucchetti” che tengono imprigionati i geni per cambiare in meglio il nostro destino biologico e quello della nostra discendenza. Stiamo parlando di una nuova e promettente branca della biologia che si chiama epigenetica (epi in greco significa “sopra” la genetica) e che si propone di studiare il modo in cui l’ambiente opera sul Dna. La dieta, il fumo, il consumo di alcol, lo stress imprimono un marchio sui geni facendoli lavorare di più o di meno. Gli scienziati stanno imparando a manipolare questo sistema di regolazione per sviluppare farmaci che possano curare le malattie semplicemente spegnendo i geni “cattivi” e attivando i “buoni”. Per la prima volta nel 2004 l’agenzia dei farmaci americana ha approvato un medicinale epigenetico, l’azacitidina, che mette il lucchetto a geni coinvolti nelle sindromi mielodisplastiche, un gruppo di rare malattie del sangue.
Gli interruttori del Dna
Come viene controllato il nostro patrimonio genetico? In ogni singola cellula è raggomitolata una sottile catena di Dna, lunga circa due metri, avvolta, come il cotone su un rocchetto, attorno a delle proteine chiamate istoni: possiamo immaginarli come delle palline che, oltre alla funzione di supporto, hanno un ruolo funzionale perché possono regolare l’attività genetica mediante l’aggiunta o il distacco di speciali “chiavi”, i cosiddetti gruppi metile: a seconda di dove vengono aggiunti (processo noto come metilazione), i geni potranno essere accesi o spenti. Questo meccanismo è stato scoperto nelle piante. Di fronte alla siccità, alla carenza di luce o di nutrienti, una pianta non può andarsene: si deve adattare e mettere in guardia le generazioni successive. E lo fa metilando alcuni geni per renderli più o meno attivi. Se un virus attacca una foglia, specifiche molecole chiamate Rna, piccole catene simili al Dna ma libere di muoversi fuori dal nucleo, si trasferiscono in tutte le cellule della pianta e vanno a regolare la metilazione dei geni necessari a difendersi: un po’ come fanno gli anticorpi del nostro sistema immunitario. Questi Rna si trasferiscono alle generazioni successive per avvisarle del pericolo. Il passaggio di informazione è stato dimostrato anche negli umani: le mamme abituate a vivere in posti ostili, per esempio, preparano i figli ad adattarsi all’ambiente trasmettendo loro uno specifico schema di metilazione del Dna.
Il software del nostro computer
I biologi dicono che il genoma (cioè il Dna) è l’hardware del nostro computer, mentre l’epigenoma (l’apparato di regolazione) è il software. Ci vogliono generazioni perché il genoma evolva, ma recentemente gli scienziati hanno scoperto che bastano piccole modifiche chimiche, come per esempio l’aggiunta del gruppo metile, per cambiare l’epigenoma. Tanto che ormai si riesce a riprogrammare in laboratorio una cellula del corpo riportandola indietro nel tempo fino allo stato embrionale e tutto questo senza modificare il Dna, ma solo spegnendo o accendendo un gruppo di geni.
Non tutto si può ereditare
I ricercatori hanno scoperto una proteina epigenetica indispensabile per respirare. È una demetilasi, cioè un enzima che stacca i gruppi metile da alcuni geni coinvolti nel centro del respiro. Togliendo questo enzima cessa l’attività respiratoria perché si fermano i neuroni del cervello che ne controllano il ritmo. In che modo le nostre abitudini modificano l’espressione del Dna? Molti degli enzimi che regolano l’attività dei geni, come le demetilasi, sono in”uenzati dai prodotti del metabolismo, i quali a loro volta dipendono da quello che mangiamo, dallo stress, dai farmaci, dagli inquinanti, dall’attività fisica. Il figlio eredita il “pacchetto genetico” dei genitori e, si sta scoprendo ora, anche una parte dei “chiavistelli” epigenetici per farlo funzionare, accumulati dal padre e dalla madre nel corso della loro vita. Ma perché avvenga la trasmissione da una generazione all’altra di questi “chiavistelli”, le caratteristiche epigenetiche devono essere presenti nelle cellule uovo e spermatozoo (i gameti) e devono schivare il meccanismo di riprogrammazione: quando si producono i gameti, la maggior parte dei geni viene resettata, ma alcune tracce delle esperienze passate rimangono e si trasmettono ai figli. Ancora, però, non conosciamo tutte le tracce che sfuggono a questa riprogrammazione. Se durante l’adolescenza bevo troppo, mio figlio rischia di diventare un alcolista? Intanto bisogna vedere se l’alcol ha messo il suo “marchio” nel Dna dell’uovo o dello spermatozoo, ma al momento non ci sono studi che dimostrano la trasmissione epigenetica del vizio, mentre sappiamo che l’abuso di alcol si ripercuote sul feto se avviene durante la gravidanza o nel periodo che precede il concepimento.
Come avere un figlio più forte
Diversi esperimenti dimostrano che anche i comportamenti si possono ereditare per via epigenetica: topolini stressati hanno generato figli stressati, (e con lo stesso assetto nella metilazione) e topi allenati hanno trasmesso la loro resistenza agli sforzi alla progenie. Il biochimico Larry Feig della Tufts University School of Medicine a Boston ha sottoposto topoline con problemi di memoria a stimoli e giochi notando un miglioramento nelle loro performance, ma quello che ha stupito di più è che il beneficio cerebrale è stato tramandato anche ai loro figli concepiti dopo l’allenamento, come se avessero svolto essi stessi gli esercizi. Non sappiamo se vale anche per gli umani, ma provare non costa niente: vuoi che tuo figlio diventi più sveglio? Comincia a esercitare i tuoi neuroni prima di concepirlo.
Più belli se la mamma mangia vitamina B
La nostra salute dipende anche da quello che hanno mangiato le nostre mamme mentre ci aspettavano e dal loro stato psicologico. Nel 2003 è stato condotto un esperimento su alcuni topolini grassi, con il pelo giallo e predisposti al diabete, il tipico aspetto malsano determinato dalla sovra-espressione di un gene chiamato agouti. Il team dell’oncologo Randy Jirtle della Duke University (Usa) ha nutrito delle topoline agouti incinta con una dieta ricca di vitamina B (acido folico e B12) e ha tenuto sotto controllo altre mamme topo incinta, alimentate normalmente. La vitamina B fa in modo che il gene agouti venga metilato più spesso nell’utero riducendone l’attività. Ebbene, le mamme agouti (grasse, gialle e diabetiche) nutrite con vitamina B hanno partorito dei topolini “bellissimi”, sani, magri, con il mantello bruno e non inclini al diabete, mentre le altre mamme hanno generato figli malaticci come loro, con un aspetto tipicamente “agouti”. Eppure hanno tutti lo stesso identico gene.
La dieta “genetica”
Il modo migliore di combattere le “cattive abitudini” che si ripercuotono sui geni è quello di adottare uno stile di vita sano. In particolare, con la dieta. Si sta scoprendo infatti che le sostanze presenti negli alimenti in”uenzano l’attività del Dna. Per esempio, un composto derivato dai broccoli, il sulforafano, ha proprietà anti-tumorali perché accende alcuni geni “buoni” inibendo l’attività di un gruppo di enzimi che regolano il grado di avvolgimento del Dna. Il tè verde contiene epigallocatechina, una sostanza che stimola il sistema immunitario mediante un meccanismo a cascata che porta all’accensione di un gene per la proliferazione del linfociti T regolatori.