Un cane non può stare sempre al guinzaglio: ha bisogno di correre, annusare e sentirsi libero. Ma se vogliamo che torni da noi quando necessario, serve un percorso di apprendimento e noi ve ne presentiamo due
Dopo aver visto sul numero scorso come insegnare al cane a restarci molto vicino quando è senza guinzaglio, ora passiamo al “richiamo”, un comando a dir poco essenziale perché… può salvare la vita al nostro amico, tanto per cominciare. E non è tutto qui, anche se ovviamente è la motivazione più forte: un richiamo efficace previene molte situazioni pericolose o imbarazzanti, impedisce che il cane possa provocare danni o spaventare i non pochi esseri umani che hanno paura dei nostri amici. Un cane che torna subito da noi non appena sente il comando è anche protetto da possibili eventi traumatici che possono avere gravi ripercussioni sulla sua serenità, e così via. Per insegnare il richiamo ci sono diversi approcci possibili. Ne abbiamo selezionati due molto validi perché ben sperimentati, basati su principi etologici adeguati e alla portata di tutti i cani. Pronti?
Una questione di civiltà: Il cane come ambasciatore
Abbiamo inserito il richiamo tra i comandi da insegnare assolutamente al cane per le ragioni spiegate nella pagina precedente, ma non è soltanto una questione di controllo, c’entra anche la “civiltà”. Quella cinofila in particolare. In un mondo molto complesso, sempre più affollato e sempre meno tollerante, anche un cane educato che torna sempre al richiamo e non crea disagio a nessuno è un eccellente ambasciatore per la sua stessa specie e anche per quella parte della nostra, di specie, che vive bene solo se ha un peloso come partner. Siccome noi apparteniamo a tale categoria umana, vogliamo che i nostri amici non si trovino in situazioni come quella che segue, assolutamente reale, della quale siamo stati testimoni.
Un esempio utile: Con un buon richiamo invece…
Campagna, domenica mattina presto. Passeggiata con il cane sul solito sentiero tra i campi e le cascine, in genere deserto. Lontano notiamo una coppia bipede-quadrupede che ci viene incontro dalla direzione opposta, all’altezza di una vecchia cascina, con il cane libero che scorrazza a destra e a sinistra. Giusto, siamo in campagna no? Solo che all’improvviso da dietro l’angolo della cascina si sente un’esplosione di “coccodé!”… il cane libero ha trovato il pollaio! Si vedono galline che corrono disperate inseguite dal cane e piume che volano mentre il proprietario urla disperatamente quello che sembra il nome del cane ma, nel frastuono, non si capisce niente. Poi il cane riappare: sta correndo come un matto inseguito dal contadino armato di forcone. Il proprietario cerca di prendere il cane al volo ma, ovviamente, questo lo dribbla meglio di Leao e sparisce tra i campi… Con un buon richiamo, tutto questo non sarebbe accaduto.
Di cosa stiamo parlando? Sarà il cane a decidere
Cosa sia il richiamo è ovvio… oppure no? In termini pratici, di cosa stiamo parlando? Se penso al richiamo mi immagino che il mio cane, alla parola “Vieni” (detta una sola volta), si giri e corra velocemente verso di me, evitando qualsiasi stimolo esterno per fermarsi davanti a me a una distanza di massimo 50 cm. Ma non è detto che questa idea del richiamo sia la stessa per tutti, anche se indubbiamente è un risultato molto soddisfacente, a mio avviso. Però, prima di iniziare a lavorare intensamente con il tuo cane scegli i criteri che stabiliscono il “tuo” richiamo e poi procedi scegliendo la tecnica che preferisci tra le due illustrate di seguito. Una buona idea? Provale entrambe, poi sarà il tuo cane a dirti quale è più efficace!
Il metodo SMAF: Signal meaning and form
Questa tecnica, sviluppata dall’etologo danese Roger Abrantes nell’ambito del suo sistema di addestramento, è consigliata sia per i cuccioli alle prime armi che per i cani adolescenti e adulti particolarmente attirati dagli stimoli esterni. L’acronimo Smaf tradotto significa: “forma e significato del segnale”. Prima di iniziare, progetto l’esercizio: scelgo il rinforzo preferito dal mio cane (cibo, pallina o tira-molla); scelgo un luogo ideale con pochi stimoli esterni; scelgo il momento della giornata ideale (cane a pancia vuota e sveglio); decido la distanza del richiamo (circa 25 metri) e penso a gesti e comandi durante l’esercizio. All’inizio abbiamo bisogno di un aiutante che tenga il cane. Ecco un esempio di esecuzione dell’esercizio:
Questa è la partenza poi, piano piano, dobbiamo togliere un po’ di segnali, aumentare gli stimoli esterni e lavorare senza l’aiutante. Dopo una cinquantina di ripetizioni del lavoro appena descritto, potremo iniziare a togliere, per esempio, la chiamata del cane durante la corsa del conduttore (punto 3); poi si potrebbe togliere esibizione del rinforzo (punto 2); dopo altre 50 ripetizioni si potrebbe togliere l’esibizione del rinforzo del punto 5. E avanti così. È essenziale togliere qualcosa solo quando il cane esegue con sicurezza l’esercizio per almeno 5 volte consecutive, altrimenti bisogna tornare indietro di uno step. L’obiettivo finale è questo: ho il mio cane libero, fuori vista, e ci sono delle distrazioni intorno a noi. Lo chiamo stando fermo e usando il nome del cane seguito dalla parola “vieni”. Lui velocemente arriva e io gli dico “bravo”. Nota bene: dopo 1.000 ripetizioni circa (sì, hai letto bene) il cane sarà sicuramente condizionato e teoricamente non servirà più utilizzare un rinforzatore primario (cibo e giochi); quello che consiglio, però, per avere un richiamo sicuro e veloce, è di premiare spesso il cane anche quando ha imparato molto bene il richiamo: la motivazione va sempre coltivata…
Con il metodo AIM, apprendimento per immagine mentale
Anche con questa tecnica, prima di iniziare consiglio di investire del tempo nella progettazione dell’esercizio. L’AIM è un metodo molto efficace codificato dalla famosa istruttrice svedese Inki Sjosten e si basa, semplificando al massimo e in estrema sintesi, sul rinforzo positivo utilizzato per creare nella mente del cane una “fotografia” di se stesso nell’atto di ricevere la ricompensa per aver eseguito una determinata azione su nostra richiesta. Rispetto al sistema Smaf, esige molta attenzione all’uso della voce (poca). Iniziamo con il cane al guinzaglio, meglio se lungo (almeno un paio di metri, massimo cinque). Anche in questo caso, ci serve un aiutante. E di nuovo, iniziamo sempre in un luogo sicuro e con pochi stimoli ambientali:
- Mostro diversi rinforzi al cane: cibo, due palline e il tiramolla.
- Consegno il cane al guinzaglio all’aiutante e lo ignoro.
- L’aiutante, in silenzio e senza avere con sé nessun rinforzo, si allontana con il cane.
- Giunto a una distanza non inferiore a una decina di passi, l’aiutante aspetta che il cane non sia voltato verso di noi, non stia annusando al suolo e non sia distratto da qualche stimolo visivo e, in quel momento, alza il braccio: è un segnale per noi.
- Quando l’aiutante alza il braccio, richiamiamo il cane: nome del cane seguito dalla parola”vieni”. Il tono dev’essere normale.
- L’aiutante ha due possibilità: sganciare il guinzaglio o no; la scelta dipende dal tipo di cane, dagli stimoli, dalla relazione e da altri fattori di opportunità. Ma soprattutto dall’entusiasmo che il cane dimostra al richiamo.
- Il cane, che non guardava verso di noi, dovrebbe fare un’inversione a “U” e iniziare a correre, o almeno a trottare: se l’aiutante non lo ha sganciato dovrà seguirlo tenendo il guinzaglio e lasciarlo solo quando il cane è quasi arrivato da noi.
- Quando il cane ci raggiunge, lo premiamo con tutti i petali del quadrifoglio (cibo, i due giochi e il contatto sociale, cioè coccole, secondo l’ordine di preferenza dal meno gradito al più gradito).
Il silenzio aiuta: Un senso alla volta
Rispetto alla tecnica Smaf, l’approccio AIM prevede molti meno segnali: non ci sono incitamenti, il cane non viene stimolato con l’esibizione dei rinforzi se non nel primo passaggio e la cosa si svolge in realtà in un sostanziale silenzio. La ragione di tutto questo risiede in un concetto base non solo del metodo AIM ma anche dell’apprendimento in generale: “un senso alla volta”. Tradotto nel caso specifico, significa che se il cane non è distratto dagli altri sensi, per esempio la vista o l’olfatto, presterà molta più attenzione al suono della nostra voce e quindi è più probabile che torni da noi. Anche in questo caso, servono molte ripetizioni della sequenza, allungando la distanza. Ma il metodo funziona molto bene, se utilizzato correttamente. Un dettaglio importante: i primi allontanamenti del cane da noi devono avvenire a opera di un estraneo o quasi, per motivare ulteriormente il nostro amico a raggiungerci e magari di corsa.
Serve tempo ma è un must: Il rapporto è alla base di tutto
Il richiamo è un comando facile da imparare ed eseguire per il cane? No, non lo è. Perché implica che la nostra voce sia più importante e interessante di qualsiasi altro stimolo possa incontrare, inclusi cibo gettato a terra o altri cani che lo attirano Del resto, neppure noi siamo propensi a lasciar perdere qualcosa che ci appassiona per dare retta ai nostri cari, per quanto bene possiamo volere loro. Una cosa essenziale per costruire un buon richiamo quindi è il tempo, quello che serve al nostro amico per capire che ascoltarci e tornare da noi è sempre vantaggioso: in termini pratici, perché verrà ricompensato come si deve, e anche in termini emotivi, perché la nostra soddisfazione sarà evidente e molto forte, il che è essenziale per un animale sociale quale è il cane. Ma perché questo discorso abbia un senso, è indispensabile che tra noi e il cane si sia già creato un rapporto profondo, fatto di gioco, di momenti di condivisione quotidiana, di intesa e di reciproco rispetto. Senza questi presupposti, perché mai un cane dovrebbe ascoltarci quando si trova lontano da noi e magari è impegnato in cose divertenti?
Usare il cervello aiuta…
Capita spesso di osservare proprietari che chiamano il cane e contemporaneamente vanno verso di lui, a volte anche correndo, e ovviamente il cane si allontana: per la legge della comunicazione non verbale e l’utilizzo dei segnali del corpo, dovremmo invece girarci e andare in direzione opposta rispetto al cane. C’è anche chi, dopo aver chiamato il cane inutilmente più volte, quando finalmente arriva… lo sgrida o peggio. In questo modo, la volta successiva il cane tornerà ancora più tardi e sempre meno volentieri. I cani, infatti, associano cause a effetto direttamente, non indirettamente: la punizione, quindi, la associano al fatto di essere tornati, non alla nostra frustrazione perché non lo hanno fatto appena chiamati. E se non tornano, vuol dire che non abbiamo lavorato bene sul richiamo!
Errori da evitare: Saperlo prima, conviene
Lo sbaglio più comune legato al richiamo è ripetere più volte il comando. Se diciamo al cane “vieni, vieeni, vieeeeni!”, imparerà a tornare da noi solo al termine della sequenza di ripetizioni! Il comando si dà una volta soltanto, con una sola eccezione: se mentre il cane torna viene distratto da qualcosa che appare all’improvviso, per esempio un altro cane che passa, ripeto il comando (una sola volta) per “rinfrescargli la memoria”. Altro errore comune è cambiare il comando: se una volta uso “vieni”, un’altra “andiamo” e un’altra ancora dico “qui”… che confusione per il nostro amico collegare la medesima azione a suoni diversi. Coerenza, sempre. Ancora, evitiamo di chiamare il cane per nome senza ragione e, se per caso capita e lui ci ascolta, non ignoriamolo ma lodiamolo. In caso contrario, il valore del suo nome pian piano calerà fino a diventare, per il cane, solo un rumore di fondo. Se, come capita a volte, il cane sta arrivando poiché ha eseguito prontamente il richiamo e a un certo punto ci “dribbla”, non placchiamolo al volo altrimenti, nei richiami successivi, starà sempre più lontano per evitare il giocatore di rugby che è in noi. Altra cosa importante: se non lasciamo mai libero il cane in parchi, campi e spazi aperti in genere, è ovvio che alla prima occasione in cui sganciamo il guinzaglio si prenderà tutto il tempo e lo spazio per esplorare, finalmente, l’ambiente, evitando noi e il nostro “richiamo”. La regola di base è: “meno liberi il tuo cane, meno torna al richiamo”.
Quadrifoglio: lo scrigno dei rinforzi
Il termine “quadrifoglio” nel metodo AIM alla pagina seguente indica i quattro rinforzi più efficaci che possiamo utilizzare: cibo (bocconi semiumidi molto golosi ma non appiccicosi), gioco di caccia (due palline), gioco di ruolo (tiramolla, cioè una treccia, un manicotto di juta e simili) e… noi stessi, cioè il contatto sociale (carezze, lodi, coccole). I primi tre vanno inseriti in un contenitore pratico (uno zainetto leggero, un marsupio) o nelle tasche di un gilet da lavoro. Il quarto siamo noi, quindi c’è sempre. Il quadrifoglio serve a rinforzare il cane al massimo, perché soddisfa tutte le sue aspettative più naturali, e a creare nella sua mente l’immagine della gratificazione conseguente a un’azione che viene codificata dal suono-comando.
- L’aiutante tiene il cane per il collare o la pettorina (entrambi in posizione in piedi).
- Il conduttore è con loro e mostra il rinforzo al cane (cibo o giocattolo, usiamo ciò che apprezza di più).
- Il conduttore inizia a correre chiamando il cane per nome e dicendo “vieni” ma l’aiutante trattiene il cane.
- Dopo aver corso per 25 metri, il conduttore si ferma e si gira verso il cane.
- Il conduttore chiama il cane usando il nome seguito dalla parola “vieni”; contemporaneamente muove il rinforzo per renderlo visibile al cane.
- L’aiutante lascia andare il cane verso il conduttore.
- Mentre il cane arriva, il conduttore inserisce un ulteriore segnale (batte le mani o si abbassa, oppure si volta e cammina, e così via).
- Quando il cane arriva il conduttore dice “bravo” e premia il cane con il rinforzo
scelto.