Caldo rovente e una pressione al suolo elevatissima rendono il pianeta – a lungo considerato “gemello” della Terra – infrequentabile per l’uomo. Ma le nubi che lo sovrastano sono più temperate e recano l’impronta di un gas, la fosfina, che potrebbe essere generata da qualche batterio. Lo accerteranno le prossime missioni di ricerca
Quando abbiamo trovato le prime tracce di quella strana molecola è stata una vera sorpresa. Quasi non credevamo ai nostri occhi». Così ha commentato entusiasta Jane Greaves, l’astronoma britannica dell’Università di Cardiff a capo dell’équipe internazionale che per prima ha individuato nelle nubi di Venere l’impronta della fosfina, «una molecola che», dice la scienziata, «non dovrebbe esserci».
La presenza di questo gas, che sulla Terra è strettamente legato alle attività degli esseri viventi, non è infatti spiegabile con i processi geologici e chimici conosciuti. Le prime osservazioni condotte da Greaves con il James Clerk Maxwell Telescope gestito dall’Osservatorio dell’Asia orientale, alle Hawaii, hanno poi trovato conferma grazie alle quarantacinque antenne del radiotelescopio cileno ALMA che hanno analizzato l’atmosfera di Venere su lunghezze d’onda diverse. Sebbene la fosfina compaia in bassa concentrazione nella corrosiva atmosfera del pianeta più vicino alla Terra – solo una ventina di molecole per ogni miliardo – la sua presenza sembra aprire scenari insospettati.
Un mondo infernale
Venere è stata a lungo considerata gemella della Terra. È all’incirca delle stesse dimensioni, con gravità e composizione simili. Tuttavia le sonde inviate a esaminarla hanno rivelato che si tratta di un mondo da incubo, un “mostro” sul quale anche un robot d’acciaio corazzato avrebbe una vita estremamente dura.
Il suolo è un deserto rovente: la sua temperatura è compresa fra i 450 e i 500 gradi centigradi, cioè abbastanza alta da sciogliere i metalli e trasformare in vapore molte sostanze che sulla Terra conosciamo sotto forma solida o liquida. Inoltre la pressione al livello del suolo supera le 90 atmosfere: è cioè analoga a quella che un batiscafo incontra negli oceani intorno ai 900 metri di profondità.
Per questo le poche sonde che sono riuscite a toccare la superficie, le sovietiche Venera 9 e Venera 10 nel 1975 e Venera 13 e 14 nel 1982, non sono riuscite a sopravvivere che pochi istanti, trasmettendo pochissime immagini ravvicinate del suolo: le uniche che possediamo. Se quindi la superficie di Venere sembra rendere impossibile ogni forma di vita, le sue nubi sono un ambiente completamente diverso.
Situate a 50-60 km di altitudine, sono considerate meno inospitali del suolo rovente. Malgrado siano ricche di acido solforico, presentano condizioni di temperatura e pressione non molto diverse da quelle che conosciamo sulla Terra. Il pianeta oggi è un inferno, ma gli scienziati ritengono che un tempo possedesse un oceano di acqua liquida e che per una parte della sua storia fosse come la Terra.
Poi un aumento massiccio dell’effetto serra lo avrebbe trasformato in una trappola mortale, costringendo le primitive forme di vita a migrare nelle nubi per evitare l’estinzione.
Spia biologica
La presenza della fosfina, che ha la caratteristica di degradarsi molto rapidamente, comporta che ci sia qualcosa che continua a produrla. Formata da un atomo di fosforo e tre atomi di idrogeno, è un gas incolore altamente tossico che sulla Terra è correlato alla decomposizione di sostanze organiche da parte di batteri anaerobi, che prosperano cioè in assenza di ossigeno.
A questa sostanza sarebbero per esempio dovuti i misteriosi “fuochi fatui”, quelle fiammelle spontanee che possono manifestarsi all’improvviso in luoghi come paludi, stagni e antichi cimiteri.
La sua presenza su Venere pone molti interrogativi. Nessuna delle ipotesi finora proposte è infatti del tutto convincente. Luce solare, minerali sospinti verso l’alto dal vento, vulcani, fulmini o altri processi chimici sono stati considerati in grado di produrre al massimo un decimillesimo della quantità rilevata dai telescopi. Per analogia con il nostro pianeta, la presenza di questo gas potrebbe invece essere un indizio dell’esistenza, nei cieli venusiani, di qualche batterio in grado di emetterlo come prodotto di scarto del proprio metabolismo.
Benché ancora da dimostrare, questa ipotesi non è nuova: l’aveva avanzata nel 1967 Carl Sagan, astronomo USA co-fondatore del SETI, il programma dedicato alla ricerca della vita intelligente extraterrestre. Ne attesterebbe la validità una recente ricerca condotta dal Massachusetts Institute of Technology, che attribuisce ad attività biologica la rilevazione di questa sostanza su pianeti rocciosi e suggerisce di puntare i più precisi telescopi del futuro sui lontani pianeti extrasolari per sondare le loro atmosfere alla ricerca di indizi della presenza del gas.
Qualcuno vuole andarci
Tanto rumore intorno alla fosfina sta facendo sì che Venere stia tornando di moda dopo essere stata a lungo snobbata a favore della Luna e di Marte, dove si conta di far sbarcare l’uomo in un futuro prossimo. Già diverse missioni robotiche sono state oggetto di studio presso le agenzie spaziali di Stati Uniti, Europa, Russia e India. La loro approvazione, però, non è scontata. Queste indecisioni potrebbero favorire nella corsa aziende private come la californiana Rocket Lab, che pare intenzionata a bruciare sul tempo i giganti pubblici.
Il proprietario, l’ingegnere neozelandese Peter Beck, ha infatti dichiarato di essere “follemente innamorato di Venere” e di avere intenzione di organizzare una missione sul pianeta nel 2023. Allo scopo, Beck si propone di sfruttare i suoi cavalli di battaglia: il lanciatore leggero a due stadi Electron e il Photon, una specie di “bus satellitare” capace di dispiegare diverse sonde più piccole. Il piano consiste nel portare il Photon a compiere un sorvolo di Venere con un’angolazione molto stretta così da permettere al veicolo di passare più tempo possibile nella fascia dell’atmosfera a un’altitudine di una cinquantina di chilometri: proprio quella dove è stata individuata la fosfina.
La missione sarà breve, dato che difficilmente la sonda potrà resistere a lungo all’attrito con l’atmosfera, ma sarà comunque in grado di analizzare direttamente i gas presenti nelle nubi. «Se riusciremo a dimostrare che su Venere esiste la vita», dice Beck, «potremo a buon diritto ritenere che sia in grado di proliferare in tutto l’universo».
La folle corsa delle nubi di Venere
Per anni i ricercatori hanno cercato di scoprire perché, mentre Venere impiega 243 giorni per girare attorno al proprio asse, la sua atmosfera ruoti attorno al pianeta in appena 4 giorni. Lo ha capito oggi il planetologo Takeshi Horinouchi dell’Università di Hokkaido (Giappone) utilizzando le immagini trasmesse dalla sonda giapponese Akatsuki. Lo studio ha rivelato che la super rotazione venusiana è alimentata vicino all’equatore dalle forze mareali formate dal riscaldamento solare sul lato giorno del pianeta e dal raffreddamento sul lato notte opposto. La ricerca ha fatto luce sui fattori che mantengono la super rotazione e ha suggerito la presenza di un doppio sistema di circolazione che trasporta efficacemente il calore in tutto il pianeta: la circolazione meridionale, che trasporta lentamente il calore verso i poli, e la super rotazione, che sposta rapidamente il calore verso il lato in ombra del pianeta.