Ai primi del Novecento, l’Italia si appassiona al caso di un giovane uciale, Gerardo Ercolessi, e di sua moglie, sorpresi a Messina a vendere segreti militari ai francesi. Un caso di spionaggio sventato dai nostri servizi ma che portò, incredibilmente, ad una condanna molto leggera per motivi politici interni. Non conveniva dar troppo risalto al fatto che tra gli uciali italiani serpeggiava il malumore per gli stipendi bassi e le carriere decise dall’opportunismo piuttosto che dal merito. Poi, il tempo e il famoso terremoto, hanno fatto letteralmente sparire nel nulla il protagonista di questa storia e la sua verità rimane ancora oggi nell’ombra…
Il 5 luglio 1904 a Messina si diffonde la notizia dell’arresto di un ufficiale del Distretto militare: non tutti erano a conoscenza del motivo, ma tutti deploravano la cosa. L’indomani mattina la notizia esplose nei titoli dei quotidiani locali e nazionali: «Arresto a Messina per alto tradimento del Capitano Ercolessi e della sua signora». Non era la prima volta che il dubbio dello spionaggio si palesava dinanzi agli occhi del popolo italiano. Ma questa volta, oltre allo spionaggio v’era anche il tradimento di un membro dell’Esercito, ovvero di quell’organo preposto ad assicurare che nessun pericolo potesse sfiorare e colpire gli italiani. La rabbia e il desiderio di vendetta che si erano diffusi subito nell’opinione pubblica erano stati raccolti dalle varie testate giornalistiche, che s’erano fatte portavoce anche della richiesta di passare il traditore per le armi senza processo, secondo quanto stabilito dal Regolamento Militare di Guerra; altri commentatori proposero di far processare i coniugi dal tribunale militare mentre altri sostennero che questo era casomai compito di un tribunale ordinario e che si doveva applicare la pena stabilita dal Codice Penale Civile.
Ma procediamo con ordine e ripercorriamo dall’inizio questa complessa vicenda che ha trovato solo di recente una sua ricostruzione storica grazie al volume di Vincenzo Caruso «Il Capitano Ercolessi. La Spia dei Francesi». Tutto era iniziato ai primi del marzo 1902, quando un certo Antonio Severini, originario di Cagli, appena rientrato in Italia da Marsiglia, s’era presentato a Napoli dal Capitano dei Reali Carabinieri Cesare Oddone (a cui, nel 1908, verrà affidato il compito di formare il Corpo di Polizia della Somalia, ovvero gli zaptié, che dovevano sostituire gli ascari della polizia ereditati dalla Società Anonima Commerciale Italiana di Benadir). Severini riferì che durante il suo soggiorno in Francia era stato avvicinato da un corregionale, Luigi Paladini, di Pescara, che gli aveva prospettato ingenti guadagni. Affascinato dall’idea, Severini s’era dimostrato interessato e, conquistata la fiducia del compaesano, era venuto a conoscenza dei loschi affari di cui si occupava Paladini che lo aveva presentato ad un certo capitano Paul Larguier, che sfruttando la copertura d’ingegnere, aveva creato, in Svizzera, un’agenzia d’informazioni riservate – soprattutto militari – che poi rivendeva sia ai servizi segreti militari francesi (il Deuxième Bureau de l’État-major général) sia a quelli austriaci (Evidenzbureau). Larguier faceva leva sui punti deboli delle persone, le lusingava, cercava di carpirne i desideri e di comprenderne le frustrazioni, insomma di trovare la chiave di volta per spingerle a lavorare per lui. S’era circondato di una fitta rete d’informatori, che gli permettevano di avere «cento occhi e cento orecchi» ovunque e che gli fornivano notizie, apparentemente, insignificanti, ma che potevano divenire utili per la sua opera di reperimento di traditori. Proprio da uno di questi informatori venne a sapere che un giovane tenente italiano, Gerardo Ercolessi, nato il 18 novembre 1861 e assegnato al distretto militare di Pesaro, s’era lamentato delle ingiustizie subite all’interno dei ranghi militari, dove le promozioni erano legate al rango e non alle competenze. Ad aumentare il risentimento e malessere del giovane ufficiale erano le ristrettezze economiche che lo attanagliavano e che non gli consentivano di offrire agi e benessere alla moglie, Guglielmina Zona.
Per Lauguier era un’occasione da prendere al volo, bisognava però creare le condizioni per entrare in contatto con il giovane militare italiano. A venirgli in aiuto fu la notizia che il suo informatore di Marsiglia, Paladini appunto, non solo conosceva il giovane ufficiale, ma ne era amico. Da qui la decisione di inviare Paladini da Ercolessi per cercare di arruolarlo. Siamo ormai nel 1901: Paladini giunge a Pesaro e capisce subito che l’amico versa in gravi ristrettezze economiche, dovute sia alla mancata promozione che alla nascita di due figli. Elementi che bisognava sfruttare. Inizia quindi a prospettare la possibilità di guadagnare denaro extra, parla della necessità di assicurare una vita agevole per i due bambini. Non è facile convincere la moglie, ma quando si offre di fargli fare una gita in Francia a sua spese, i due accettano. La piccola comitiva parte ma, giunti alla stazione di Torino, la moglie decide di fermarsi con i bambini, mentre i due uomini varcano il confine e scendono alla stazione di Aix-les-Bans, dove li attende, in «finanziera e tuba» Paul Larguier in persona. I tre salgono in carrozza per recarsi all’albergo Madrid, il migliore della zona. Ercolessi rimane basito dalla disponibilità economica della sua nuova conoscenza ed è subito affascinato dalla prospettiva di vita che potrebbe condurre qualora assecondi le sue richieste. A farlo capitolare definitivamente è la visita al ministero della Guerra, a Parigi, dove Larguier lo introduce, tramite una chiave in suo possesso, nella stanza dove sono conservati documenti riservati, istruzioni di mobilitazione, cifrari segreti provenienti da diversi paesi stranieri. Tra i tanti documenti, gli viene indicata una pianta riguardante le fortificazioni della città di La Spezia, frutto della vendita fatta da un colonnello italiano per la somma di 30 mila lire. Ercolessi a questo punto accetta di diventare informatore di Larguier per 300 lire al mese, più una somma aggiuntiva, da stabilirsi di volta in volta, in base al valore del documento fornito. Larguier gli fornisce come acconto la somma di tremila lire e gli dice di comunicare le informazioni tramite Paladini, per evitare sospetti. Quest’ultimo lo accompagna in stazione, dove gli consegna anche una macchina fotografica portatile, utile per fotografare i documenti.
Ercolessi giunge a Torino, riprende la famiglia e torna al suo lavoro. Qui rimane fino al settembre del 1901 quando viene promosso al grado di capitano e trasferito al Distretto Militare di Messina. Tutto procede bene fino al 1902, quando Paladini viene scoperto dal Servizio Informazioni Italiano e Larguier decide di sbarazzarsi di lui per rimpiazzarlo con Vittorio Mancinelli, palermitano, ex capitano dei Bersaglieri congedato con disonore. L’unico problema è quello di dover avvertire Ercolessi di non comunicare più con Paladini. Per farlo decide di usare Antonio Severini, introdotto nella sua organizzazione proprio da Paladini e dimostratosi affidabile. Larguier non sa però che Severini è un doppio agente che fa capo al «Servizio I» italiano e che invece di correre a Messina da Ercolessi, si precipita a Napoli, dal suo superiore il capitano Cesare Oddone per riferirgli tutto. Oddone visiona il materiale che Severini deve presentare a Ercolessi, trattiene una riproduzione fotografica della lettera di Larguier, e parte il 6 novembre, con il suo subordinato, alla volta di Messina.
Il 7 novembre Severini va dai coniugi Ercolessi ma nella fretta dimentica di richiudere la busta della lettera di presentazione di Larguier, cosa che avrà un peso nella buona riuscita del suo compito. Si presenta alla moglie del Capitano Ercolessi, Guglielmina, con il nome di Antonio Rigi, lei gli chiede il motivo della visita e costui le presenta il biglietto da visita e la foto del mandante, ma la signora rimane indifferente. Severini-Rigi le porge il resto del materiale: la donna apre la busta, ma non conoscendo il francese non la legge, guarda il resto del materiale e quindi invita l’ospite a ritornare nel pomeriggio, quando sarà presente anche il marito. Quando Severini-Rigi ritorna, la signora lo fa accomodare, chiude, stranamente, la porta a chiave, e dichiara di non conoscere chi le scrive e di non aver mai avuto rapporti con costui. Accenna invece a Paladini che, a suo dire, è in debito con il marito. Giunge poco dopo anche il capitano che, appreso il motivo della visita, diventa evasivo e ripete la versione della moglie. Nell’accomiatare l’ospite, i due concludono con le seguenti parole «Se Larguier ha serie intenzioni di trattare gli affari, venisse qui con sufficienti garanzie, ed in tal caso si potrà trattare qualche cosa in proposito». La donna si lascia anche sfuggire che si recherà lei stessa a Marsiglia. Una confessione involontaria, che apre l’orizzonte della confessione e che conferma al capitano Oddone che ormai si può tirare la rete. Ma con calma…
Severini a questo punto scompare dalla scena, forse torna in Francia. Per snidare i due coniugi viene chiamato il tenente dei Carabinieri Reali Giulio Blais. Assunto il falso nome di Gustave Vallére, spedisce, ai primi del gennaio 1904, da Chambery, una lettera alla moglie del capitano, con la quale le chiede se ha la disponibilità di alcune merci, aggiungendo che voleva dialogare con lei, senza l’intermediazione di Paladini. Il 30 gennaio la signora imbuca la lettera di risposta, fissando l’appuntamento a casa sua, dietro preavviso, e chiede una cauzione di mille lire. Il Vallére, torna alla carica, inviando da Bordeaux un’altra lettera in cui fa pressioni per avere una risposta precisa riguardo alle «merci» che desidera. Guglielmina Zona risponde che era costretta ad allontanarsi da Messina e quindi si sarebbe fatta viva non appena fosse tornata. In realtà, si accerterà in seguito che i due coniugi non s’erano mai spostati da Messina e che l’unica stranezza compiuta era quella di spedire lettere in Francia e a Trieste. Forse i due volevano tentare di entrare in contatto con l’Evidenzbureau austriaco ma non sappiamo se non ci riuscirono oppure se la cosa non interessava agli austriaci. Trascorsi quattro mesi, il giugno giunge al solito indirizzo francese una missiva che contiene e seguenti parole «Signore, sono rientrato sul posto. – Luigi, Messina, 13».
Il tenente Blais alias Gustave Vallére decide che è il momento per far scattare la trappola. Il 26 giugno giunge a Messina. Invia, tramite un fattorino, il biglietto da visita firmato con le iniziali del suo nome di copertura «G.V.» dove preannuncia la sua visita, tra le 17 e le 18 dello stesso giorno. Guglielmina si rende disponibile a riceverlo. Alle 17.30 Gustave Vallère si presenta in via Palermo e viene ricevuto dai coniugi. Richiama alla memoria i rapporti che costoro hanno intrattenuto con Paladini e con il Larguier, tali affermazioni convincono i due della validità del contatto e gli prospettano la possibilità di fornirgli del materiale, abbastanza recente. Il compratore avanza dei dubbi, che vengono subito frenati dalla possibilità di poter visionare gli originali e solo dopo decidere se acquistare delle copie fotografiche. Il capitano gli presenta quaranta foto che riproducono l’orario ferroviario in caso di mobilitazione e gli prospetta la possibilità di presentargli documenti riguardanti «la difesa delle coste». L’ufficiale dei Carabinieri si dimostra interessatissimo a tutto ciò che gli viene presentato. Sceglie cinque foto dell’orario e consegna, come caparra, un biglietto da 100 lire. I coniugi sono contentissimi e dichiarano che l’indomani gli forniranno il materiale. Prima di accomiatarsi Blais/Valère chiede di poter visionare la macchina fotografica, per rendersi conto della qualità delle foto. Il giorno dopo, all’ora stabilità Blais /Valère si ripresenta ma Ercolessi non ha nulla per lui: si scusa ma a causa di un contrattempo, dovuto alla presenza di due ufficiali nel suo ufficio, non è riuscito a prelevare i documenti promessi. Valère sta per andare via, ma il capitano lo ferma: gli dice che proverà adesso, data l’ora sicuramente non ci sarà nessuno, deve solo pazientare un po’.
Lasciato l’ospite con la moglie, Ercolessi corre in ufficio, preleva i documenti e ritorna a casa. All’ospite mostra la copia «n.1133 delle istruzioni riservate di mobilitazione (edizione 1902)» e alcune variazioni, il progetto di difesa costiera, una copia del cifrario rosso del ministero della Guerra e una copia dei nuovi piani di mobilitazione. Il materiale è buono afferma il compratore, che si dice interessato a comprarlo tutto. Definito il prezzo, si decide per la consegna del tutto alle 17 del 15 luglio. Il tenente Blais/Valère alle 9 del 5 luglio si presenta a casa dei coniugi, cogliendoli di sorpresa, dal momento che l’orario della visita era per il pomeriggio. Il compratore dichiara che voleva solo accertarsi che tutto fosse pronto e che non v’erano ritardi. Guglielmina lo rassicura, mancano solo le ultime pagine delle istruzioni di mobilitazione che il marito avrebbe terminato di fotografare dopo pranzo. Si anticipa l’incontro alle 14.30, su insistenza del compratore. Accomiatatosi Valère rientra nei panni del tenente Blais e recatosi all’ufficio informazioni di Messina chiede che sia emanato un mandato di perquisizione per gli Ercolessi e che si compia una verifica presso la cassaforte del Distretto Militare da cui, si scopre, mancano importanti documenti: una copia delle istruzioni riservate per la mobilitazione; una copia del fascicolo delle dotazioni speciali dei reparti costieri e per le guardie di finanza adibiti al servizio costiero; un cifrario militare tascabile per gli usi di guerra; le istruzioni riguardanti il cifrario.
Mentre la verifica del contenuto della cassaforte del Distretto Militare sta terminando, un plotone di Carabinieri circonda la casa degli Ercolessi e subito dopo fa irruzione. Durante la perquisizione viene reperito il materiale mancante dalla cassaforte del Distretto. Inoltre viene sequestrata la macchina fotografica, due biglietti di una banca francese, la cui presenza non viene spiegata dai coniugi; una lettera ritenuta attinente al traffico d’informazioni e un plico raccomandato diretto a un certo Vittorio Mancinelli con destinazione Napoli. Gli arrestati vengono tradotti in carcere: il marito in quello di Rocca Guefonia; la moglie in quello dei Cappuccini. I due bambini della coppia vengono affidati. Prima di giungere al processo si dovette stabilire la competenza giuridica, dal momento che erano coinvolti sia un militare che una civile. Gli articoli del codice militare erano chiari in materia e statuivano che in caso di reato di spionaggio condotto in comune con dei civili la competenza era del tribunale civile. La sentenza è attesa per il 6 luglio 1905, giusto un anno dopo l’arresto delle due spie. Le udienze furono affollate, sia di gente del popolo che di giornalisti. All’inizio l’accusa ebbe la meglio evidenziando il tradimento condotto dai coniugi, ma quando la parola passò alla difesa, questa riuscì a insinuare il dubbio che non di colpevoli si trattasse, ma di vittime sacrificali cadute nella trappola ordita dal tenente Blais, per soddisfare un tornaconto personale finalizzato a una promozione. Il procuratore generale Pertone-Ferrante, in qualità di pubblico ministero, chiese ai giurati di emettere un verdetto di piena colpevolezza «in nome dell’Italia intera, ferita a sangue dal tradimento dell’Ercolessi». Alle 18.05 del 6 luglio 1905 i giurati rientrarono, dopo novanta minuti di camera di consiglio. Sistematisi nei loro posti, il silenzio calò in aula. Tutti attendevano la lettura del verdetto che fu la seguente: «A maggioranza, i giurati rispondono per Ercolessi:
• Sì per la sottrazione dei documenti dalla cassaforte del Distretto Militare di Messina in tempi diversi.
• No, a maggioranza, sulla rivelazione dei documenti sottratti ad agenti di spionaggio estero.
• Per Guglielmina Zona i giurati rispondono no a tutte le questioni». Vengono fatti rientrare gli imputati. Il capitano, mentre sale nel suo banco, vacilla. La moglie singhiozza. Ercolessi, appena apprende che i giurati l’hanno riconosciuto colpevole dell’accusa principale si tura le orecchie, si siede e inizia a gridare, in maniera insensata. L’emozione è tale che anche il cancelliere viene coinvolto, tanto da doversi interrompere per un nodo alla gola. Terminata la lettura, il presidente invitò il PM a fare le sue richieste. Questi chiese una condanna di sei anni e otto mesi per il capitano. Urla e fischi sommergono le ultime parole. Venne fatta sgomberare l’aula, quindi il difensore chiede alla corte l’applicazione del minimo della pena. Dopo mezz’ora la Corte esce e legge la sentenza: «Assoluzione piena per Guglielmina Zona. Condanna per Gerardo Ercolessi alla pena di cinque anni e dieci mesi di reclusione».
La sentenza risultò contraddittoria, dal momento che la condanna era solo per la sottrazione di documenti, ma non per spionaggio a vantaggio di uno stato estero. Molte testate giornalistiche, primo il «Corriere della Sera», gridarono allo scandalo, accusando i giudici di essersi fatti condizionare dalla pietà popolare. Ma quasi sicuramente la decisione del tribunale risultò pilotata dal sistema politico, che si era reso conto che ammettere l’esistenza di un così forte malessere tra gli ufficiali delle Forze Armate avrebbe avuto come conseguenza primaria quella di evidenziare l’incapacità dello Stato di assicurare un sistema di difesa efficiente dei confini. Per questo era preferibile una sentenza tutt’altro che dura anche se di colpevolezza, che mitigasse però le colpe dell’apparato centrale.
Il capitano Ercolessi venne ricondotto alla Rocca Guelfonia, dove rimarrà fino al 28 dicembre 1908, quando il famoso terremoto seguito dallo tsunami colpirà Messina e distruggerà buona parte della città. Era uscito dalla sua cella solo il mattino del 14 gennaio 1906 quando era stato portato sulla spianata della Cittadella per essere degradato pubblicamente ed espulso dal Regio Esercito. Non è dato sapere cosa sia successo alla spia dopo il terremoto: alcuni pensano che sia evaso, altri che sia rimasto sotto le macerie. La verità non è dato conoscerla. Subito dopo il processo, invece, sua moglie Guglielmina Zona ritornò nell’ombra, andando a riabbracciare i figli a Pesaro e chiudendosi poi nel silenzio.