Far comunicare i veri neuroni con una rete di connessioni creata per rimpiazzare quelli malati non è più fantascienza
Sono le cellule più misteriose, complicate e affascinanti di tutte. Possiamo immaginare una cellula del fegato come una piccola fabbrica che assembla e smonta molecole, oppure una cellula cardiaca contrarsi e rilassarsi facendo battere il cuore; ma che cosa succeda in un neurone per far sì che il cervello sia capace di pensare è parecchio più difficile da comprendere. Eppure la ricerca scientifica ha già messo a punto i primi neuroni artificiali: certo non sarebbero capaci di creare la Divina Commedia come fece il cervello di Dante, ma potrebbero presto essere d’aiuto per la cura di alcune malattie neurologiche, e costituire il primo passo verso un’intelligenza artificiale simile a quella umana, un vero “cervello sintetico”.
CIRCUITO ELETTRICO
Quello che abbiamo in testa è un organo formato da circa cento miliardi di neuroni, ciascuno in contatto con altri diecimila per milioni di miliardi di connessioni. Una rete vastissima i cui nodi sono neuroni: ricevono segnali in ingresso, attraverso ramificazioni chiamate dendriti ed estese verso altri neuroni, elaborano questi input e “decidono” come rispondere. Per farlo, inviano impulsi in uscita tramite un’unica via di comunicazione, in partenza da ogni neurone, detta assone. Il dialogo fra neuroni avviene attraverso le sinapsi, i punti di congiunzione fra cellule nervose dove alcune molecole, i neurotrasmettitori, vengono rilasciate per agire su specifici “interruttori” sui neuroni vicini.
Ciò che decide se un neurone scaricherà o meno i suoi neurotrasmettitori è il passaggio di minuscole correnti elettriche che, se superano una certa soglia, consentono al neurone di “parlare” con gli altri. Il sistema è reso ancora più intricato dalla presenza di neuroni detti “eccitatori”, che si accendono molto facilmente anche per correnti piccolissime, e da quelli “inibitori”, che invece smorzano i segnali elettrici. Complicato, ma dal punto di vista di un ingegnere elettronico o informatico in fondo è tutta questione di passaggi di corrente e circuiti elettrici: da qui l’idea che sia possibile creare un neurone artificiale in grado di comportarsi come una cellula nervosa del cervello umano.
TUTTO IN UN MICROCHIP
I primi a crederci furono due scienziati statunitensi, il neurofisiologo Warren McCulloch e il matematico Walter Pitts, che nel 1943 costruirono un modello biofisico elementare di neurone artificiale che ricostruiva in circuiti elettrici l’attività della cellula nervosa; nel 1958 lo psicologo Frank Rosenblatt lo perfezionò creando il “percettrone”, il primo modello di rete neurale artificiale.
Da allora in poi la tecnologia ha fatto passi da gigante e oggi esiste già un prototipo di neurone su chip di silicio che negli esperimenti in vitro e sui topolini si comporta davvero come una cellula vivente, rispondendo agli stimoli proprio come farebbe il suo corrispettivo biologico: è il risultato del progetto europeo Adaptive Bio-electronics for Chronic Cardiorespiratory Disease, coordinato da Alain Nogaret dell’Università di Bath nel Regno Unito e nato per creare neuroni bionici con cui sostituire quelli che non funzionano in alcune malattie cardiorespiratorie, per esempio in certe aritmie o in caso di insufficienza cardiaca, quando specifiche cellule cerebrali non inviano i giusti segnali al cuore. «Finora i neuroni sono stati “scatole nere” di cui non conoscevamo il contenuto; con questo progetto siamo riusciti ad aprirle e a riprodurre in dettaglio le proprietà elettriche dei neuroni», dice Nogaret. «Il neurone di silicio è in realtà un microchip, un quadratino che per il momento misura 5 millimetri di lato ma che potrà essere rimpicciolito fino a diventare del diametro di un capello nell’arco dei prossimi cinque, dieci anni», spiega Claude Kanah, ricercatore in informatica e cibernetica per l’Associazione per la Ricerca sulle Demenze Onlus (Ard), fra gli inventori del neurone artificiale. «Mima perfettamente il funzionamento di un piccolo circuito nervoso che si trova alla base del cervello e che controlla la respirazione e la frequenza cardiaca, comportandosi proprio come un “generatore di impulsi” naturale». Realizzare questi cosiddetti “neuroni a stato solido” è stato difficilissimo perché le risposte dei neuroni biologici non sono lineari e quindi non sono facilmente prevedibili: se alla cellula nervosa arriva un segnale di potenza doppia, in altri termini, non è detto che la sua risposta sia doppia. Gli autori del progetto, fra cui ci sono anche i due ricercatori italiani dell’Università di Zurigo Elisa Donati e Giacomo Indiveri, sono riusciti a ottenere questo risultato grazie a complessi modelli di equazioni matematiche.
COME QUELLI VERI
Il risultato sono i cosiddetti chip neuromorfici, cioè “a forma di neurone”, che secondo i ricercatori potranno essere presto realizzati per mimare anche altri circuiti cerebrali e diventare ponti per riparare comunicazioni interrotte o danneggiate nel cervello di chi soffre di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, in cui l’enorme rete di neuroni è come strappata. Oltre che essere testati in colture cellulari, dove hanno dimostrato di rispondere in maniera quasi identica ai neuroni veri dopo numerosi e differenti stimoli, i neuroni su chip sono già stati impiantati nei ratti in aree come l’ippocampo, critiche per la memoria. «Questi microchip hanno bisogno di pochissima energia per funzionare: appena 140 nanowatt, ovvero un miliardesimo del fabbisogno energetico di un microprocessore standard (il “cuore” di un computer, ndr)», spiega il neurologo Claudio Mariani, presidente Ard. «Significa che sono semplici da gestire, perché possono funzionare sfruttando le piccole correnti generate di continuo e fisiologicamente dai neuroni biologici: l’obiettivo è far sì che i neuroni artificiali siano auto-alimentati a bassa potenza, così da attivarsi autonomamente, appena innestati, sfruttando l’elettricità delle reti neurali presenti. Inoltre sono stati realizzati con una tecnologia analogica, che cioè lavora in continuo come tutti i sistemi biologici e non è binaria come quelli digitali: implica poter mimare il comportamento di un neurone vero con molta più accuratezza. I processori neuromorfici possono già dialogare con i neuroni veri perché parlano la stessa lingua, fatta di segnali elettrici; il prossimo passo è provarli in topolini modificati geneticamente per sviluppare l’Alzheimer così da capire se e come possano lavorare in parallelo coi circuiti rimasti, vicariando le funzioni dei neuroni danneggiati e consentendo performance di memoria migliori».
CELLULA ARTIFICIALE
Per riuscirci al meglio sarà utile anche una strategia dove i ricercatori hanno “travestito” un chip da cellula, riproducendo sulla sua superficie le caratteristiche della membrana cellulare. L’accorgimento, oltre a evitare il rigetto dell’impianto da parte dell’organismo, migliora il passaggio degli impulsi dalle cellule cerebrali al neurone artificiale; il prossimo passo è creare una membrana ancora più complessa che possa anche rilasciare e ricevere neurotrasmettitori, in modo da rendere il chip artificiale sempre più simile ai neuroni veri.
Ma potremo mai arrivare a creare un cervello sintetico? La sfida è enorme perché il cervello umano è assai più complesso di qualsiasi supercomputer: per il momento sono state costruite reti neurali artificiali, ma tuttora sono rudimentali al confronto. È il caso del microchip ottico che imita il cervello messo a punto di recente dall’università tedesca di Münster: contiene appena quattro “neuroni” e sessanta “sinapsi” in diversi strati, è grande quanto una moneta da un centesimo ma grazie all’accoppiamento dei circuiti con materiali a cambiamento di fase, che cioè cambiano le proprietà ottiche a seconda dello stato in cui si trovano, imita molto da vicino il funzionamento di neuroni e sinapsi cerebrali.
Il micro-cervello artificiale ha dimostrato per esempio di poter imparare da solo, grazie a stimoli luminosi, a riconoscere schemi visivi formati da quattro lettere consecutive. L’obiettivo è usare simili cervelli sintetici per creare computer superveloci dotati di un’intelligenza artificiale sempre più simile a quella umana, ma per il momento nessun chip e nessuna macchina possono paragonare le loro prestazioni al nostro cervello: di fatto sono soltanto algoritmi e qualsiasi rete neurale, per quanto complessa, non può avere (ancora?) una coscienza.