Ci ricordiamo della sua presenza invisibile quando soffia con violenza. Ma se mancasse anche la più leggera brezza, il clima e il Pianeta sarebbero molto diversi. E invivibili
Nell’Antico Testamento era una delle rappresentazioni di Dio. Per la scienza è l’effetto delle differenze di pressione nell’atmosfera terrestre. Ma, sia che lo vogliate osservare con gli occhi della fede sia che lo esaminiate con l’intelletto e la ragione, il vento è qualcosa che ha plasmato il mondo e la vita che lo abita molto più di quanto possa sembrare. E anche se diamo per scontata la sua presenza, la sua assenza sarebbe una catastrofe: le conseguenze sarebbero devastanti. A generare il vento, infatti, sono le differenze di pressione nell’atmosfera terrestre. Il vento non è altro che aria in movimento, un moto causato principalmente dal riscaldamento irregolare della Terra da parte del Sole. Sono proprio le differenze di pressione atmosferica a generare i venti, con l’aria che si muove dalle zone in cui è maggiormente compressa verso le zone in cui lo è meno, dunque dall’alta pressione verso la bassa pressione.
Il vento, dunque, potrebbe sparire soltanto se ipotizzassimo che non ci fosse l’atmosfera (o che questa improvvisamente sparisse). In questo caso, l’assenza del vento sarebbe l’ultimo dei nostri problemi: non sopravviveremmo e il mondo diventerebbe brullo e sterile come la Luna. Immaginiamo allora che la luce del Sole inizi a colpire la Terra in modo da bilanciare perfettamente le differenze di pressione dell’aria. Ipotesi un po’ cervellotica, ma utile al nostro ragionamento.
CAMBIAMENTO CLIMATICO
La circolazione atmosferica si arresterebbe e, senza redistribuzione di caldo e freddo intorno alla Terra, il clima si farebbe estremo: «Non andrebbe per niente bene, questo è certo!», spiega Chris Maier, meteorologo della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l’agenzia statunitense che si occupa dello studio del clima: «Il vento aiuta a bilanciare le temperature della Terra a seguito del riscaldamento del Sole. Trasporta il vapore acqueo a chilometri di distanza dagli oceani e dai laghi del nostro pianeta. E ciò genera pioggia e neve sulla terraferma. Senza il vento, queste due caratteristiche molto importanti del clima della nostra Terra verrebbero sostanzialmente meno. I Poli diventerebbero molto più freddi e le regioni equatoriali molto più calde. Il vapore acqueo ricadrebbe semplicemente negli oceani e nei laghi, e con il progressivo prosciugarsi del terreno si formerebbero molti più deserti». Interi ecosistemi si trasformerebbero e alcuni scomparirebbero completamente: sulle distese marine e sui laghi, l’acqua continuerebbe a evaporare ma non ci sarebbe più il vento a spostare le nuvole e le perturbazioni a esse legate. In quelle zone ci sarebbe dunque una grande umidità e lunghi periodi di pioggia, mentre nelle aree più lontane il suolo diventerebbe sempre più arido.
CALMA PIATTA
È difficile immaginare il mare senza onde. Eppure, la scomparsa di barche a vela, windsurf e degli sport a essi legati non sarebbe il problema più allarmante. Il vento è infatti il principale artefice dei moti ondosi. Senza il suo influsso, gli oceani ristagnerebbero e le correnti marine sparirebbero o quasi. Venti, variazioni di temperatura e salinità, forza di Coriolis, sono tutti fattori che contribuiscono a mantenere in equilibrio la circolazione globale oceanica. Un meccanismo che, nel sistema interconnesso con la circolazione atmosferica, influisce sul clima di tutto il Pianeta, ridistribuendo verso i Poli il calore della cintura equatoriale. Se mancasse uno dei fattori, il vento appunto, tutto il sistema ne risentirebbe, e l’equilibrio termico della Terra verrebbe meno. I Paesi dell’emisfero settentrionale, per esempio, diverrebbero sempre più freddi per la mancanza delle correnti che trasportano le acque calde verso nord. Uno dei pochi aspetti positivi è che non ci sarebbero più gli uragani, originati dall’evaporazione di grandi quantità di acqua sugli oceani. E neppure le trombe marine e i tornado.
Il movimento delle onde del mare, inoltre, è fondamentale per la distribuzione del plancton e delle altre sostanze nutrienti importanti per molte specie, così come lo sperma e le uova da fecondare di tante altre. Senza il vento, dovremmo dire addio a tutto questo.
CHE FATICA VOLARE
Forse alcune specie animali, umani compresi, non soffrirebbero in modo diretto per la mancanza di vento (a parte il cambiamento di clima conseguente), ma altre forme di vita dovrebbero adattarsi ad habitat differenti: per esempio, alcuni rettili come tartarughe e coccodrilli, o mammiferi come trichechi, foche e lontre marine, potrebbero trascorrere più tempo in ecosistemi terrestri meno umidi.
Il discorso è diverso per gli uccelli che, fin dalla loro comparsa sulla Terra, vivono utilizzando le diverse tipologie e intensità di correnti d’aria. Come sopravvivrebbero se non spirasse la minima brezza? Le specie che sfruttano le correnti ascensionali, come i rapaci, o altri veleggiatori, per esempio le cicogne o le gru, sarebbero costrette a utilizzare solo il volo battuto e non quello veleggiato, con un enorme dispendio di energia. La mancanza di vento, non potrebbe permettere a molte specie marine come sule, albatros o gabbiani di vagare sulle immense distese d’acqua di mari e oceani anche per raggiungere, se non a costo di enormi sforzi, i siti riproduttivi pelagici. I rondoni non potrebbero più vivere e dormire in aria grazie ai movimenti del vento, e i passeriformi migratori sarebbero sottoposti a una fatica ben maggiore, senza vento “di coda” che li aiuta negli spostamenti da un continente all’altro, così come avverrebbe per i migratori transahariani fra l’Europa e l’Africa.
CAMBIO DI STRATEGIE
Anche il mondo vegetale subirebbe ripercussioni notevoli. Infatti, molte specie di alberi e fiori che hanno frutti e semi piccoli, leggeri e muniti di ali, affidano al vento il compito di provvedere alla disseminazione. Senza vento non ci sarebbero quindi olmi, pini, carpini, aceri, frassini e salici, così come molti funghi, muschi ecc. Senza la diffusione del polline grazie alle correnti ventose non ci sarebbero molte specie di fiori. Le persone allergiche ne avrebbero un sicuro vantaggio, ma a quale costo? Anche piante importanti per l’uomo come gli ulivi sparirebbero. Non solo, senza i nutrienti e l’umidità portata dagli alisei dall’Africa, non ci sarebbe nemmeno la foresta pluviale amazzonica che, fra l’altro, produce il 25% dell’ossigeno mondiale. Anche irrigare le coltivazioni per il nostro uso alimentare sarebbe sempre più difficile e costoso, e rischieremmo di non riuscire a produrre cibo sufficiente per tutta la popolazione mondiale.
In altre parole, se ogni corrente d’aria dovesse scomparire all’improvviso dal mondo, possiamo immaginare che la quasi totalità degli organismi viventi dovrebbe affrontare importanti trasformazioni, per adattarsi il più velocemente possibile, oppure estinguersi.
PAESAGGI INQUIETANTI
Il vento ha accompagnato l’evoluzione del nostro pianeta fin dalla comparsa dell’atmosfera. E ha contribuito a modellarne i paesaggi attraverso l’erosione. Senza di esso, le dune nei deserti e nelle spiagge smetterebbero di mutare le loro forme. Anche l’erosione rallenterebbe, impiegando molto più tempo a degradare le architetture urbane così come i paesaggi rocciosi.
Le stesse dinamiche della società cambierebbero. Per esempio, non potremmo fare affidamento sull’energia generata dalle pale eoliche, una delle fonti più importanti tra quelle sostenibili, o dai sistemi che sfruttano la forza delle onde marine, e questo finirebbe per incidere sulle economie di molti Paesi.
Un grande numero di città, senza alcun tipo di brezza a spazzarle, ristagnerebbe nell’inquinamento prodotto da fabbriche, automobili e ogni altro tipo di emissione antropica.
Senza vento anche la storia sarebbe stata diversa: i grandi popoli navigatori (Fenici, Greci, Arabi, Normanni) non avrebbero dominato i mari nelle epoche più antiche; il commercio e le grandi esplorazioni, che dal XV secolo si affidarono ai grandi velieri, sarebbero stati molto più limitati, almeno fino alla fine dell’800 quando si affermarono le navi a vapore. E i mulini a vento sarebbero rimasti solo un’idea da romanzi.
Come nasce il vento?
Per spiegare il vento, i meteorologi ricorrono spesso alle metafore. Aiutano a capire perché le masse d’aria si spostino da una parte all’altra dell’atmosfera, generando appunto il vento. Per esempio Chris Maier, meteorologo del Noaa, paragona l’atmosfera terrestre all’acqua: «Immaginate una manichetta antincendio, o una semplice pompa da giardino, in cui l’acqua viene spinta dalla pressione interna del tubo verso l’esterno. La stessa cosa succede nell’atmosfera terrestre: il riscaldamento della Terra da parte del Sole crea differenze di temperatura che si traducono direttamente in differenze di pressione nell’atmosfera in tutto il mondo. Queste fanno sì che l’aria si muova, sempre da una pressione più alta a una pressione più bassa».
All’Equatore, l’aria calda sale verso l’alto in virtù della sua minore densità, per poi spostarsi in quota verso i Poli. Si crea così una zona di bassa pressione che richiama le masse di aria fredda dalle regioni polari.
Ai Poli, infatti, avviene il fenomeno opposto: l’aria fredda, più densa e pesante, si muove verso il basso e crea un flusso discendente, che poi si dirigerà verso l’Equatore, chiudendo il ciclo.
Rotazione. Questo schema semplificato – valido a livello globale – viene modificato dalla rotazione terrestre, che lo rende più complesso. Le masse d’aria che spirano dal Polo Nord e dal Polo Sud verso l’Equatore (e viceversa) non si muovono infatti in linea retta, ma sono influenzate dalla forza di Coriolis, dal nome del fisico francese che per primo la descrisse nel 1835. Gaspard Gustave de Coriolis rilevò infatti come la rotazione terrestre porti questi venti costanti a soffiare da nord-est verso sud-ovest nell’emisfero nord e da sud-est verso nord-ovest nell’emisfero australe.
Un ulteriore effetto della rotazione è che il flusso prima descritto viene “spezzato” in cicli più piccoli. In particolare, i cicli principali sono tre per ogni emisfero: in quello boreale, uno si svolge tra l’Equatore e il Tropico del Cancro (cella di Hadley), uno tra il Tropico e il 60mo parallelo, che passa a nord di Oslo (cella di Ferrel), e uno che dal 60mo parallelo arriva fino al Polo Nord (cella polare).
Le autostrade dell’aria. L’insieme di queste grandi forze planetarie, ovvero le differenze di pressione dovute al diverso grado di riscaldamento dell’aria e la forza di Coriolis, determinano la direzione dei grandi spostamenti di aria al suolo. Alcuni di essi sono così importanti da meritarsi n nome. Gli alisei, per esempio, spirano dalle aree tropicali verso l’Equatore, muovendosi da nord-est a sud-ovest nel nostro emisfero, e da sud-est a nord-ovest nell’emisfero australe. Sono venti costanti, attivi tutto l’anno con velocità medie di 15-20 km/h. I monsoni sono invece venti periodici (il nome è di origine araba: in arabo mausim significa stagione) e caratteristici del subcontinente indiano, della penisola indocinese e delle regioni meridionali della Cina. Spirano durante l’estate dall’oceano Indiano verso l’interno del continente asiatico e portano piogge abbondanti (monsone estivo). Durante l’inverno, spirano dall’interno del continente asiatico verso l’oceano Indiano e sono costituiti da aria povera di umidità, che dà origine a una stagione secca e calda (monsone invernale). I monsoni nascono perché d’estate l’interno dell’Asia si riscalda, diventando una zona di bassa pressione permanente che attira aria umida dall’oceano. Vi sono poi i venti occidentali e i venti polari, che si formano con un meccanismo simile a quello degli alisei, ma a latitudini più elevate.
Doldrums, dove il vento non c’è
In natura ci sono diversi esempi di vento calmo o quasi del tutto assente, come i “Doldrums”, regioni vicino all’Equatore terrestre ben conosciute dai naviganti. «In queste zone il riscaldamento del Sole è molto uniforme, quindi c’è pochissima differenza di pressione, che genera di conseguenza movimenti d’aria molto leggeri», spiega Chris Maier, meteorologo del Noaa. Questa striscia, nota come “Zona di convergenza intertropicale”, è caratterizzata da una circolazione atmosferica molto debole e l’aria quindi ristagna, con temperature e tassi di umidità molto elevati. Per questo motivo, la navigazione a vela nei Doldrums è particolarmente ardua, dovendo fronteggiare lunghi periodi di calma piatta alternati a improvvisi e violenti temporali. Queste regioni di calma tropicale (v. schema sotto) sono indicate in inglese come Horse Latitudes, o Latitudini dei cavalli: al tempo della navigazione con i velieri, infatti, poteva succedere che le imbarcazioni che si imbattevano in questa calma piatta rimanessero bloccate per settimane. I marinai allora razionavano le scorte di acqua, così, se fra le merci trasportate c’erano anche cavalli, che hanno bisogno di bere molto, questi venivano sacrificati e buttati in mare.