La produzione di ulivi aumenterà e le terre coltivabili cresceranno in tutto il mondo. Costerà meno trasportare le merci e non ci ammaleremo più di influenza. Parola di scienziati
Sembrerebbe che i cambiamenti climatici in atto abbiano ripercussioni negative a 360 gradi. I ghiacciai si ritirano, gli incendi e le piogge catastro fiche non hanno confronti con i decenni precedenti, gli oceani si stanno riscaldando e acidificando come non mai, le siccità hanno colpito diverse parti della Terra e le ondate di calore hanno causato la morte di migliaia di persone. L’aumento della temperatura terrestre non produce alcun effetto positivo? In realtà alcune ricadute favorevoli esistono e in un prossimo futuro potrebbero interessare anche l’Italia. Vediamo.
Ulivi in crescita
Secondo un modello dei cambiamenti climatici realizzata , se sul Mediterraneo le temperature aumenteranno di 2 °C rispetto al secolo scorso si avrà una crescita del 4 per cento nella produzione di ulivi. I motivi sono due: da un lato tali piante vivono meglio con temperature superiori a quelle che abbiamo attualmente, dall’altro perché la mosca olearia, un parassita assai temuto, non sopporta temperature di poco superiori a quelle attuali e quindi si arresterà la sua diffusione.
Aumento delle terre coltivabili
Ai giorni nostri vaste aree alle alte latitudini del Pianeta non sono adatte all’agricoltura, per i lunghi periodi freddi cui devono sottostare durante l’anno. Basti pensare alle condizioni cui sono sottoposte oltre la metà del territorio del Canada e la maggior parte della Russia settentrionale. Un aumento della temperatura di pochi gradi le trasformerebbe in aree sfruttabili al meglio. L’aumento della temperatura terrestre desertifica altre aree della Terra, ma sembra che quelle che ne beneficerebbero siano in maggioranza.
Stagioni di crescita più lunghe
Stagioni primaverili ed estive prolungate potrebbero permettere due raccolti anziché uno e ciò darebbe modo di avere a disposizione anche una maggiore varietà di colture.
Più traffico marino
Come già avvenuto negli ultimi anni un aumento della temperatura di pochi gradi causa lo scioglimento estivo dei ghiacci vicino al Polo Nord e questo permette un aumento del traffico marino polare che collega l’est con l’ovest del mondo. Attualmente una nave che lascia il Giappone per gli Stati Uniti occidentali e viceversa deve scendere sotto l’Africa e attraversare il canale di Panama. Senza ghiacci al nord della Russia e del Canada si risparmierebbero migliaia di chilometri di tragitto con conseguente minor inquinamento e maggior velocità di trasferimento delle merci. Le risorse dell’Artico diventano disponibili. Secondo recenti ricerche condotte dai russi i fondali sotto l’area polare potrebbero nascondere dai 9 ai 12 miliardi di tonnellate di petrolio e gas. In termini assoluti questa quantità non è elevatissima, ma è comunque una quantità tale per cui valgono gli sforzi per la ricerca e l’estrazione. Secondo altre ricerche (ma i dati sono discordanti) nell’Artico vi sarebbe il 13 per cento del petrolio e il 30 del gas non ancora scoperto sulla Terra. Altre indagini, poi, hanno messo in luce l’esistenza di depositi di metalli inglobati nei “noduli di manganese” (noduli grandi come palle da tennis che si formano sui fondali per precipitazione dall’acqua marina di metalli immessi negli oceani da eruzioni vulcaniche). Va detto però che le aree polari sono molto delicate dal punto di vista ambientale e quindi nonostante questa ricchezza ci si deve porre la domanda se realmente vale o meno la pena iniziare lo sfruttamento di tali risorse.
Inverni più caldi
Ma gli inverni più caldi a livello planetario, come è successo per l’ultimi anni, portano anche diversi benefici: da un lato ci sarebbe una minor richiesta di combustibili fossili che ha, come conseguenza, un minor inquinamento dell’aria. Anche per questo beneficio tuttavia, c’è il contraltare: ossia estati più calde che richiedono maggiore energia per raffreddare gli ambienti in cui si vive; e questo rende difficile dire oggi se ci potrebbe essere una reale ricaduta positiva a lungo termine.
Gli altri vantaggi sono dati dalla diminuzione delle malattie e degli incidenti stradali: anche se un mondo più caldo permette la trasmissione di malattie tropicali con maggiore facilità (come la malaria), in realtà le malattie per raffreddamento, come l’in”uenza, hanno ricadute negative superiori. Una temperatura più mite durante l’inverno potrebbe far sì che l’in”uenza diventi un ricordo. Ma un Pianeta più caldo può causare “ondate di calore” mortali, come già successo anche in Europa, che non sono assolutamente da sottovalutare. Ma non c’è dubbio che inverni con minor neve e minor ghiaccio sono molto più sicuri per chi guida. Gli incidenti per condizioni avverse invernali, infatti, causano un numero elevatissimo di decessi.
Aumenta l’energia solare
Un clima più soleggiato può portare a un maggior utilizzo dell’energia solare. Le conseguenze possono solo essere positive, se si considera il minor inquinamento atmosferico. Ma la temperatura terrestre dei prossimi decenni aumenterà realmente come ci mostrano i vari modelli climatici? Da almeno 20 anni a questa parte è in una fase di stasi e i ghiacci del Polo Nord stanno segnando per il secondo anno consecutivo una ripresa della loro estensione, fatto che va contro ogni previsione. Per questo motivo ci si chiede se i modelli climatici sono corretti e se gli allarmi dei ricercatori non si stiano sciogliendo come ghiaccio al Sole. Se si leggono alcuni articoli di “scettici” del clima (ossia ricercatori, politici ed economisti che non credono a una stretta relazione tra aumento dell’anidride carbonica immessa nell’atmosfera dall’uomo e aumento della temperatura terrestre) sembrerebbe proprio di sì. Tra l’altro c’è un ulteriore elemento che giova a favore di questi ultimi: le ricerche realizzate per dare una spiegazione a questa stasi nell’aumento delle temperature, condotte da più parti, hanno portato a circa 40 ipotesi, molte delle quali divergono totalmente le une dalle altre. C’è chi imputa il fenomeno al Sole e alla sua mancanza di macchie, chi alla scarsità d’importanti ritorni di El Nino, chi all’aerosol immesso nell’atmosfera dai vulcani e così via. Se si valuta il problema nella sua interezza si scopre che la situazione ha delle reali spiegazioni seppur non previste dai modelli climatici. Partiamo dalla temperatura terrestre. È innegabile che siamo in una fase di stasi. Dal 1998 circa la temperatura non cresce come nelle decadi precedenti, ma l’energia che si sarebbe dovuta accumulare nell’atmosfera è finita negli oceani.
Gli oceani si scaldano
La temperatura dell’acqua non solo è continuata ad aumentare nei primi 700 m di spessore, ma è cresciuta in modo rilevante anche tra i 700 m e i 2.000 m di profondità, fatto che prima degli anni Settanta era quasi insignificante. Come interpretare ciò? «Semplicemente», dice Robert Way, della Memorial university of Newfoundland St. John del Canada, «l’energia che si è accumulata nell’atmosfera legata all’aumento dell’anidride carbonica immessa dall’uomo è finita negli oceani facendoli riscaldare come non mai». Anche per quel che riguarda i ghiacci la situazione deve essere valutata nella sua globalità. Se si guarda l’andamento anche con la situazione degli ultimi due anni l’andamento medio dei ghiacci del Polo Nord vede una riduzione, il che significa che in meno di un secolo non avremo più ghiacci in estate. Questo, ancora una volta, conferma quanto sia complesso studiare l’evoluzione del clima e come i modelli climatici non sono in grado di scendere nei dettagli di fronte a piccole variazioni che si verificano a margine del fenomeno. Basta, cioè, una piccolissima variazione di uno dei parametri che influenzano il clima che i dati a breve termine risultano sfasati rispetto all’andamento generale del modello.