I baffi degli animali sono dei veri e propri computer in miniatura, capaci di raccogliere informazioni dall’ambiente e di trasmetterle al cervello
Nuove scoperte sull’attività delle vibrisse, i peli attorno alla bocca e alla punta del muso di molti mammiferi: le ha svelate un recente studio di Kendra Arkley, scienziata della University of Sheffield del Regno Unito. A differenza dei comuni peli, le vibrisse hanno una straordinaria mobilità e sono caratterizzate dalla presenza di numerose terminazioni nervose che si collegano al cervello, portandovi le sensazioni percepite. Ci sono 100-200 terminazioni per ogni singolo follicolo, il che significa che nel caso di un topo i baffi trasferiscono dati al cervello tramite oltre 25mila cellule nervose sensoriali. I peli quindi sono un importante organo tattile e funzionano come una microcentralina che rileva gli oggetti circostanti e il tasso di umidità e il calore, fornendo agli animali utili informazioni sull’ambiente. Come piccoli sensori, aiutano anche a prendere le misure di prede o di ostacoli, a scoprirne la forma, la dimensione e la consistenza. Per questo sono sviluppati nei mammiferi notturni, per esempio i felini che cacciano di notte, o i roditori che si spostano in cunicoli scarsamente illuminati.
Attivano i neuroni
Secondo alcuni studiosi, l’attività di questi speciali baffi arriva a impegnare anche il 40 per cento del cervello quando l’animale esplora l’ambiente. Sollecitate, le vibrisse attivano i neuroni del nucleo mesencefalico del trigemino, un importante centro del cervello dove si raccolgono e si rielaborano buona parte delle percezioni sensoriali. Kendra Arkley ne ha misurato il grado di precisione, scoprendo che nei luoghi più bui e sconosciuti i topi ne migliorano la funzionalità muovendole con ampi e veloci movimenti circolari. Diversamente, se l’ambiente è familiare e ben illuminato, le vibrisse si muovono poco e sono portate distese in avanti, come a voler tastare l’aria in anticipo, prima cioè che naso e occhi ne ricevano il sentore. Secondo Arkley, che le ha filmate, la diversità nella modalità di impiego delle vibrisse dimostra che esiste un controllo attivo di questi organi di senso da parte dell’animale e che la loro attività dipende dalle sue precise intenzioni. Un ruolo importante, quindi, che aiuterà i ricercatori a capire meglio come funziona la percezione tattile in generale e come essa si sia evoluta, anche tra i nostri antenati.
Li abbiamo anche noi
Lo studio dei peli tattili nei mammiferi ha infatti svelato interessanti retroscena anche nell’evoluzione della nostra specie. Secondo precedenti studi effettuati sempre presso la University of Sheffield, le vibrisse erano presenti in un mammifero primitivo già 125 milioni di anni fa, quando si formarono le linee evolutive che hanno portato agli attuali roditori e marsupiali. Grazie a questi speciali baffi, i mammiferi sarebbero riusciti a colonizzare molti ambienti terrestri e ad assicurarsi la sopravvivenza nel corso dell’evoluzione. Oggi sono presenti in quasi tutte le specie di mammiferi ad eccezione della nostra, dove in realtà permangono in forma vestigiale all’imboccatura delle narici. Sembra probabile che negli uomini tali organi abbiano lasciato spazio allo sviluppo di sensi più congeniali al nostro tipo di andatura, eretta su due piedi e prevalentemente diurna. I ricercatori dell’University of Sheffield pensano che «nell’uomo le vibrisse siano state sostituite dall’impiego delle mani, capaci di tastare l’ambiente e di evitarci collisioni con oggetti presenti in luoghi poco illuminati». Lo sviluppo più importante è quindi avvenuto tra i mammiferi notturni, come il gatto che, pur vivendo al nostro a fianco, non smette mai di stupirci per la sua eccezionale capacità di muoversi al buio o di mantenere l’equilibrio sui cornicioni dei tetti. Tutto merito delle sue folte vibrisse, lunghe sino a 8-10 centimetri e localizzate a ciuffi ai lati del muso, sulle sopracciglia e in prossimità della base delle zampe e persino, in modo più rado, frammiste alla pelliccia su tutto il corpo. Ragione quest’ultima che spinge il nostro amico di casa a leccarsi quasi in modo maniacale il pelo per mantenerlo ordinato ed efficiente e al tempo stesso lo porta a mostrarsi insofferente verso chiunque accenni a una carezza in contropelo.
I baffi elettronici che aiutano i pompieri
Si chiama Shrewbot, il piccolo topo robotizzato dotato di sofisticati baffi elettronici. È stato costruito dagli ingegneri elettronici e dai neuroscienziati del Bristol Robotics Laboratory and Sheffield Centre of Robotics (Regno Unito). Shrewbot è cieco e usa i suoi baffi elettronici, fino a 8 per lato, come unico elemento sensoriale per raccogliere informazioni su ciò che lo circonda. Sempre negli stessi laboratori è nato anche Biotact sensor, un braccio robotico con lunghe vibrisse artificiali come quelle dei topi, in grado di muoversi e di trasmettere a sensori elettronici la percezione di ciò che tocca. Robot di questo tipo possono avere un largo impiego in situazioni di emergenza, ad esempio al fianco dei vigili dei fuoco per mappare luoghi angusti avvolti dal fumo e nell’ambito della tecnologia delle protesi artificiali.