La scienza non ha dubbi: è un’utopia e tale resterà. Ma in Russia e negli Stati Uniti farsi ibernare è una pratica che ha una certa diffusione tra chi, condannato da malattie incurabili, spera nei progressi della medicina e in future, più efficaci terapie
“Risvegliatemi quando ci saranno nuove cure”. Prima dell’ultimo saluto, qualche anno fa, una ragazza inglese di 14 anni con un tumore in fase terminale ha espresso, nero su bianco, il suo ultimo desiderio: «Penso che la crioconservazione possa darmi una chance di essere curata». L’Alta Corte del Regno Unito ha così permesso l’ibernazione del suo corpo. La decisione non ha precedenti nella storia giuridica europea e ha fatto molto discutere. Per motivi sia etici sia scientifici. Finora, infatti, nessun corpo crioconservato è stato riportato in vita e forse non lo sarà neppure in un lontano futuro. Resta il fatto che sono già 377 le persone nel mondo che si sono fatte ibernare per “risvegliarsi” quando ci saranno le cure adatte per loro e sarebbero addirittura 2.000 quanti hanno stipulato un contratto per essere ibernati in futuro.
Il primo cinquant’anni fa
L’idea è nata negli Stati Uniti nel 1960 in seguito alla pubblicazione di The Prospect of Immortality di Robert Ettinger, professore universitario del Michigan, secondo il quale una persona congelata al momento della morte potrebbe essere successivamente riportata in vita. Così il 12 gennaio 1967 fu ibernato il primo uomo, James Bedford, settantatreenne, professore di psicologia all’Università della California. Il suo corpo fu sottoposto alla pratica di congelamento e quindi conservato in un contenitore sotto vuoto e in azoto liquido prima a Glendale (California), poi a Phoenix (Arizona) e, successivamente, a Scottsdale. Nel 1991 è stato trasferito dal contenitore originale a uno più avanzato e riesaminato. «Il professor James», dicono gli esperti del centro Alcor di Scottsdale, «sembra in ottime condizioni fisiche». Tra gli italiani, il primo ibernato è stato Aldo Fusciardi, morto nel 2012 per infarto a 75 anni, mentre l’ultima risulterebbe essere Cecilia Lubei, una signora ottantaseienne della provincia di Viterbo, scomparsa nel febbraio 2016. Matheryn Naovaratpong, invece, risulterebbe essere fino a questo momento la persona più giovane che sia mai stata ibernata. Non aveva neanche tre anni quando è morta per un tumore al cervello.
Utopia o realtà?
Ibernare un organismo intero, con la speranza di ricondurlo in vita è pura fantascienza. Le caratteristiche dei tessuti del corpo umano sono, infatti, molto differenti tra di loro e anche la loro reazione nei confronti del freddo non è omogenea. Questo vale sia per il congelamento sia per lo scongelamento. La nostra complessità biologica non permette neppure di immaginare di tornare alla vita dopo una crioconservazione, anche se questa tecnica in futuro venisse perfezionata. È utopia a tutti gli effetti. Tutt’altra questione è invece la crioconservazione di singole popolazioni cellulari basata su una procedura consolidata da anni nelle applicazioni nell’ambito della ricerca e della terapia. E dal punto di vista etico? Il fatto che l’ibernazione post mortem e il successivo risveglio non abbiano alcun fondamento scientifico, non è un dettaglio. Se non esistono presupposti scientifici, significa coltivare una speranza vana e quindi illusoria. Inoltre crioconservare il corpo significa porre attenzione solo a una componente dell’essere umano. L’identità di una persona non è fatta solo dal corpo. E poi, posta l’ipotesi del tutto irrealistica di una vita successiva, come si svolgerebbe, quali sarebbero le caratteristiche fisiche e psicologiche del nuovo soggetto vivente? E che fine fa la mente durante il lungo periodo del congelamento?.
Come avviene la procedura
La procedura di ibernazione deve iniziare appena il cuore ha smesso di battere ma prima della morte cerebrale. L’ibernazione da vivi non è invece legalmente consentita in nessuno stato del mondo, neppure per i malati terminali o per i pazienti in coma, anche se i sostenitori ritengono che sarebbe preferibile. Secondo la descrizione delle società di ibernazione, dopo l’arresto cardiaco vengono ripristinati meccanicamente l’afflusso di sangue al cervello e la ventilazione ai polmoni. Quindi il corpo viene messo in acqua gelida per poi essere trasportato presso un centro di criogenesi dove viene iniettata una speciale soluzione per evitare il congelamento dell’acqua nelle cellule. Il corpo, a questo punto, viene immerso nell’azoto liquido e portato a una temperatura di -125 gradi centigradi per tre ore e in seguito a -196 gradi. La conservazione avviene a testa in giù nei tewar, cisterne che contengono appunto azoto liquido.
“Solo” il cervello
Esiste anche la neuroconservazione, cioè la possibilità di congelare unicamente il cervello. Questa scelta si basa sulla convinzione che in futuro sarà possibile non solo riportare in vita i corpi ibernati, ma anche innestare i cervelli congelati su “nuovi” oganismi. Tecnicamente si procede così: si taglia la testa a livello della settima vertebra e poi la si immerge nel solito azoto liquido. Anche in questo caso la temperatura del liquido deve essere gradualmente abbassata fino a -196 gradi.
Per avere un figlio domani
Ovociti e spermatozoi, vengono conservati per dare, a chi deve sottoporsi a cure che potrebbero determinare un’infertilità, la possibilità di diventare genitori una volta terminate le terapie. Nel 90 per cento dei casi si tratta di pazienti oncologici, nel restante 10 sono donne che desiderano rimandare la gravidanza per motivi personali, lavorativi eccetera. I gameti vengono congelati e conservati nell’azoto liquido in appositi contenitori anche per anni, senza problemi. Il procedimento è valido pure per gli embrioni delle coppie non fertili. Ovociti e spermatozoi sono fecondati in laboratorio, conservati in azoto liquido e reimpiantati nell’utero. Questo procedimento è estremamente utile ad aumentare i successi della fecondazione artificiale e a scongiurare gravidanze gemellari perché viene impiantato in utero un embrione per volta.
Per la cura dei tumori
La crioconservazione delle cellule staminali presenti nel midollo osseo, può rivelarsi estremamente utile sia per la cura dei tumori solidi sia per quelli del sangue che necessitano di trapianto. Per questo le cellule staminali, prima della somministrazione di alte dosi di radio o chemioterapia, vengono prelevate e crioconservate presso laboratori molto avanzati. La conservazione è possibile per anni in azoto liquido a -196 gradi centigradi. Routinario, in caso di trapianto per esempio per leucemie o malattie genetiche, è anche l’utilizzo delle cellule staminali presenti nel sangue del cordone ombelicale. Il cordone ombelicale, donato dalla madre dopo il parto, viene crioconservato in apposite banche a fini terapeutici. Non ha però alcun fondamento scientifico la moda di conservare in banche private il cordone del proprio figlio per eventuali necessità future. In caso di malattie genetiche non sarà certo utile. Il cordone infatti “è già malato”. Lo stesso discorso vale per una leucemia insorta nel corso della vita. Anzi, quel cordone non potrà essere più utilizzato né dalla persona in questione né da altri.
I tre centri più famosi
Attualmente esistono solo tre centri al mondo in cui è possibile far ibernare il proprio corpo. Due si trovano negli Stati Uniti: l’Alcor, in Arizona, che è l’organizzazione crionica con il più alto numero di iscritti, e il Cryonics Institute, vicino a Detroit (Michigan). In Russia c’è il KryoRus, fondato nel 2006. Tutti e tre hanno lunghe liste d’attesa.
Roba da ricchi
I costi sono alti. Negli Usa si va dai minimi 160 ai più di 200mila dollari per la criogenesi di tutto il corpo e circa la metà per il solo cervello. In Russia le tariffe sono sempre elevate, ma inferiori a quelle americane: 26mila dollari per il corpo intero e 18mila per la testa.