In Occidente, dove la vita finisce il più delle volte negli ospedali, tendiamo a parlarne il meno possibile. E a chiamare “il caro estinto” in tutti i modi tranne morto
La morte è il momento più ricco di ritualità in ogni cultura e non è considerato universalmente un tabù. Nel rito, da un punto di vista simbolico, tutti i morti di tutti i tempi sono presenti. Così la morte si ricongiunge con la vita simboleggiando un’eterna trasformazione. In Occidente è diverso. La morte non è un evento collettivo e tantomeno spirituale, e oggi è diventata un evento medicalizzato e sottratto allo sguardo pubblico. In passato, si moriva in casa, circondati da familiari e parenti, bambini inclusi. Oggi si muore spesso in ospedale o in una struttura sanitaria privata (clinica, casa di riposo, hospice) il cui personale si occupa di tutti gli adempimenti burocratici e in un certo senso “sottrae” la salma allo sguardo di parenti e amici, “nascondendo” la crudezza della morte stessa. Secondo numerose ricerche, il mutamento nella nostra relazione con la morte si è gradualmente imposto dal secondo dopoguerra. La morte è il nuovo tabù della società post-moderna e il grande “rimosso” dell’immaginario collettivo. Non a caso esiste un’interdizione a parlarne e prova ne è l’alto numero di eufemismi con cui sostituiamo l’espressione “X è morto”: diciamo X non è più tra noi, si è spento, è scomparso, è mancato, non ce l’ha fatta, è salito in cielo, riposa in pace. Assistiamo a un gigantesco processo di rimozione e di occultamento, specie in contesti metropolitani sempre più tecnologizzati e necrofobi. Il tabù della morte si prolunga così nei luoghi turistici, spazi di rimozione del dolore.
Sesso e morte vanno a braccetto
Nella nostra mente la morte e il sesso vanno spesso a braccetto. Non a caso nella psicoanalisi freudiana i due concetti costituiscono i due poli opposti entro i quali la mente umana si muove: Eros, ovvero l’istinto di piacere, e Thanatos, cioè l’istinto di morte. Se l’uno ci spinge alla vita, l’altro ci porta all’autodistruzione. Ma anche diversi studi hanno dimostrato il legame tra queste due pulsioni primordiali: secondo alcuni, un soggetto al quale vengano mostrate immagini erotiche è particolarmente predisposto a evocare, subito dopo, pensieri di morte. In particolare, nel corso di una ricerca americana pubblicata da Social Psychological and Personality Science, a una serie di persone furono mostrate alcune parole da completare. Prima dell’esercizio, però, una parte di loro era stata sottoposta alla visione di immagini hard. Risultato: chi aveva assistito alle scene porno mostrava una maggiore tendenza rispetto al gruppo di controllo nell’individuare parole legate al tema della morte. Così, ad esempio, chi era stato sottoposto alla visione di materiale erotico completava la sequenza “gra_ _” formando la parola grave (tomba), mentre coloro che non avevano visto le stesse immagini scrivevano più frequentemente la parola grape (uva).
Non nominare i defunti invano
La cultura occidentale post-moderna ha trasformato la morte in una sorta di tabù. In altre culture sono stati tabuizzati i nomi propri dei defunti: la proibizione di nominarli ad alta voce è stata diffusa in molte culture, dagli Inuit della Groenlandia agli Aborigeni dell’Australia. Questi ultimi erano addirittura costretti a elaborare nomi sempre diversi per i nuovi nati. Frequente è stato anche il divieto di usare i vestiti, gli attrezzi e le suppellettili appartenute a un morto. In alcune regioni italiane, sino a 50-70 anni fa, si usava bruciare gli abiti e i mobili di un defunto e si poteva rientrare in una stanza in cui era morto qualcuno solo dopo averla ripulita e imbiancata nuovamente.
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