Crediamo di vivere in una società moderna dove i tabù sono scomparsi? Ci sbagliamo. Quelli legati al sesso, al corpo e ai soldi resistono ancora e facciamo fatica persino a parlarne. Il perché ce lo spiegano gli esperti
Nel 2008 Patrick Stübing combatteva una battaglia: rendere legale l’amore che prova per la sua Susan. Il motivo? I due amanti, tedeschi di Potsdam e genitori di quattro figli, sono biologicamente fratello e sorella. Adottato in tenera età, Patrick conobbe Susan solo quando aveva 24 anni. Da allora iniziano una relazione dalla quale nascono quattro figli. Soltanto uno è fisicamente e psichicamente sano: gli altri, affetti da pesanti disabilità, sono stati affidati a famiglie adottive. Colpevole di questa relazione incestuosa (all’epoca la sorella non era maggiorenne), Patrick si è fatto tre anni di carcere: in Germania le relazioni tra consanguinei sono ancora oggi punite, dove è il Codice penale a prevedere pene fino a otto anni.
Atti contro natura
Il mondo cambia, le norme sociali si fanno sempre meno stringenti, eppure alcuni argomenti come l’incesto restano ancora tabù. Infrangere divieti sociali e morali di questo tipo è infatti percepito come un atto contro natura, tanto nelle società primitive quanto in quelle ipertecnologiche come la nostra. Ma non c’entra solo la sessualità: ad esempio, a noi oggi fa orrore la sola idea di mangiare la carne di un gattino, anche se non ci facciamo problemi a nutrirci di animali altrettanto teneri come agnellini o conigli. Anche parlare di escrementi provoca un’analoga riprovazione, almeno nei discorsi tra adulti.
Fasi di passaggio
I tabù non si limitano ad argomenti “caldi” come sesso e corpo. Riguardano anche denaro e potere. Non è un caso: questi temi rinviano ad aspetti cruciali dell’esistenza, che impongono sistemi prescrittivi e proibitivi molto sofisticati. I momenti di cambiamento della vita, in particolare, hanno sempre a che vedere con questi aspetti e sono sottoposti a divieti e prescrizioni. Pur nelle diversità culturali, le fasi di passaggio – da bambino ad adolescente, da scapolo a sposato o dalla vita alla morte – comportano spesso rituali ed eventi che chiamano in causa tabù legati a sesso, corpo, cibo o denaro: una bambina diventa donna quando ha la prima mestruazione (corpo e sesso), un giovane si sente adulto quando riceve il primo stipendio (denaro), un ragazzo diventa uomo quando si confronta con il primo importante lutto. E infatti le proprie mestruazioni, l’ammontare del proprio stipendio o la morte di un congiunto sono argomenti sempre spinosi.
Cibi proibiti
Se sesso e morte sono argomenti chiave dell’esistenza umana, non diverso è il discorso per il cibo. Si pensa al valore sacrilego che ha presso alcune culture infrangere i divieti alimentari. Esistono culture e religioni che attorno a questo tema hanno sviluppato veri e propri precetti, nati quasi sempre da esigenze pratiche: le vacche sono sacre in India perché utili più da vive che da morte, in quanto animali da traino e fonte di latte e di escrementi adatti alla concimazione. Il tabù della carne di maiale nella religione ebraica, invece, è l’esito della progressiva desertificazione del Medio Oriente, che rese impraticabile l’allevamento di maiali. Tuttavia, pur nato da una ragione pratica, quel tabù è rimasto e anzi riveste una funzione: quella di enfatizzare il sentimento di appartenenza. In fondo vale per tutti i divieti: nati come obblighi pratici e poi trasformati in precetti morali interiorizzati dai membri della comunità, sono anche e soprattutto un simbolo della cultura di cui siamo figli.
Più vivi che mai
Dunque, se è vero che viviamo in una società più libera di un tempo, ciò non deve trarci in inganno: ancora oggi permangono situazioni, oggetti e comportamenti innominabili. I tabù dell’incesto, della pedofilia, di figlicidi e matricidi persistono, perché riguardano condotte che violano i legami di sangue o pregiudicano la perpetuazione della razza umana. Basta la cronaca per capirlo: sono proprio questi alcuni dei temi che, per la loro morbosità, scandalizzano ma inevitabilmente attraggono. Un po’ come il sesso. Sdoganato in larga parte, presenta ancora oggi aspetti bui, oggetto di tabù difficili da sradicare. Secondo quanto scriveva l’antropologo americano Ernest Becker, la riproduzione ha sempre prodotto precetti morali perché costituisce l’attività umana che maggiormente ci ricorda la nostra natura animale, una natura che talvolta può spaventare. Fino all’Ottocento, per esempio, il rapporto orale era tabù: non solo fellatio e cunnilingus erano considerati moralmente inaccettabili, ma addirittura ripugnanti. Per quanto è noto, la situazione iniziò a cambiare nei primi decenni del Novecento. Secondo i dati delle ricerche degli stessi autori riportati nel volume, oggi le cose sono mutate specialmente nel Norditalia, tra i ceti sociali più elevati e tra i giovani: tra i ragazzi, infatti, capita spesso che il rapporto orale preceda la “prima volta”.
No al transessualismo
Resta invece tabù il transessualismo, perché chiama in causa due temi scottanti: da un lato l’identità individuale, da molti oggi avvertita come in pericolo, e dall’altro il desiderio di modificare un corpo nel quale non ci riconosciamo più, sentimento espresso da molti attraverso il ricorso sempre maggiore alla chirurgia estetica. Le pratiche di modificazione corporea, rappresentano il desiderio di migliorare il proprio aspetto sostituendo un corpo donato con un corpo artefatto, ma più vicino all’idea che si ha o che si vorrebbe avere di se stessi. Lo psicologo faceva riferimento a una ricerca che aveva condotto nel 2010 sul tema delle pratiche di trasformazione del corpo, come tatuaggi e piercing. Su 854 giovani di diverse scuole superiori italiane fu rilevato che il 6,4 per cento aveva almeno un tatuaggio e che il 45,6 si era dichiarato almeno interessato a questa pratica. Se tuttavia tatuaggi, scarificazioni e chirurgia estetica sono ormai liberalizzate, l’intervento di riassegnazione del genere al quale ricorrono i transessuali rimane un argomento decisamente più scomodo e difficile da affrontare.
Dal nudo all’erotismo
Proprio il corpo è infatti ancora oggetto di stigmi sociali: così lo è la nudità, largamente accettata purché confinata in ambiti circoscritti come le spiagge dove praticare naturismo. Altrove, stare nudi è perfino punito dalla legge. Perché? L’antropologo e zoologo inglese Desmond Morris, celebre per il suo trattato sul comportamento umano La scimmia nuda (1967), spiegava che «negli altri animali i genitali sono in genere nascosti, poco visibili. E così era anche nell’uomo, fino a quando non adottò la posizione eretta. Da allora i suoi genitali divennero visibili. Così fu impossibile avvicinare un altro individuo senza fare una dichiarazione di identità sessuale. Per mitigare la forza di questi segnali l’uomo cominciò a coprirsi con un perizoma». In pratica l’uomo iniziò a vestirsi per ridurre l’intensità dell’esibizione sessuale, ma così facendo gettò le basi per creare l’erotismo. Coprendosi, infatti, la carica erotica cresceva nel momento in cui il perizoma veniva tolto. Nacque così il pudore, una forma tenue di tabù che ha un’estrema variabilità culturale. Nelle culture indigene in Brasile, per esempio, in alcuni casi il seno scoperto è diventato un tabù basato sul pudore che i missionari hanno inculcato localmente, mentre in altri la nudità quasi completa è vissuta con tranquillità.
Sesso da nascondere
La nudità è tabù in modi diversi a seconda della parte del corpo esposta e del contesto: ad esempio, gli antropologi fanno notare come oggi in Occidente il sesso maschile eretto sia più tabù della vulva, mentre in alcune culture, come quelle islamiche, il corpo della donna è più scandaloso di quello maschile e per questo è spesso velato. Può compromettere la fedeltà coniugale, cruciale per la certezza della diffusione dei geni maschili.
Non si direbbe, ma hanno un’utilità
Universali o legati al singolo contesto storico, i tabù hanno una funzione sociale: sono tali, infatti, solo quando rispettarli contribuisce a rafforzare l’identità del gruppo. Servono a preservare gli equilibri del contesto culturale, e quindi a organizzare le relazioni interpersonali. Perché questo avvenga, però, occorre che il tabù comporti privazioni, ma anche vantaggi pratici o sociali: il disgusto per gli escrementi, ad esempio, serve a evitare contaminazioni pericolose per la salute, così come l’incesto serve a impedire legami tra consanguinei, causa di prole geneticamente anormale, come nel caso di Patrick e Susan.
Questi sono diffusi quasi ovunque
Oggi, i ricercatori sono d’accordo sul fatto che non esistono tabù universali, cioè tabù presenti in tutte le culture ed epoche storiche. Tuttavia, alcuni sono molto diffusi in gran parte delle società e culture umane. L’incesto e il cannibalismo appartengono a questa categoria, ma anche per loro esistono eclatanti eccezioni.
Incesto
Le relazioni sessuali e i matrimoni tra fratello e sorella, genitori e figli, nonni e nipoti sono stati “tabuizzati” da millenni e giuridicamente o religiosamente proibiti in moltissime società, inclusa la nostra. Questo tabù, è presente in tutte quelle culture che hanno colto il vantaggio della pratica esogamica, ovvero del matrimonio contratto fuori dal proprio gruppo di appartenenza, che consente di garantire relazioni adattative più ampie e affidabili tra le varie comunità, nonché nella perpetuazione della specie umana. Esistono però alcune eccezioni. Recenti ricerche, basate sull’estrazione e la comparazione del Dna di diverse mummie, hanno dimostrato che il faraone più celebre della storia, il giovane Tutankhamon della XVIII dinastia (1341-1323 a.C.), era figlio del faraone Akhenaton e di una regina secondaria di nome Kiya, e sposò giovanissimo una sorellastra, la principessa Ankhesepaaton, figlia di Akhenaton e della regina Nefertiti. L’incesto dinastico era diffuso anche tra la popolazione precolombiana degli Inca, il cui sovrano poteva disporre di numerose concubine, ma di una sola consorte ufficiale, detta coya. A partire dall’impero di Tupac Yupanqui, decimo sovrano di Cuzo (1430 circa), gli Inca istituirono una sorta di “incesto regale” – l’imperatore poteva avere come coya la propria sorella, più raramente sorellastra – per mantenere puro il sangue della famiglia e diminuire così le contese dinastiche. Casi simili sono stati osservati anche nelle antiche monarchie hawaiane e in alcune comunità africane.
Cannibalismo
Gli studiosi hanno raccolto prove chiare di numerosi episodi di cannibalismo per ragioni magico-religiose (cannibalismo rituale) o per fame (cannibalismo alimentare) in tutti i continenti, nella lontana preistoria e persino nella storia più recente. I nostri antenati si mangiavano tra loro nell’Europa del Paleolitico, del Neolitico e dell’Età del bronzo; casi sistematici di antropofagia sono stati documentati anche tra gli Aborigeni australiani, i Maori della Nuova Zelanda, gli abitanti delle Isole Salomone e Fiji, di alcune zone di Melanesia, Polinesia, Papua Nuova Guinea e tra alcune tribù dell’Africa centrale e occidentale. Sia presso i Celti inglesi del 1000 a.C. sia presso gli Aztechi messicani del 1400 d.C. vi sono stati casi di cannibalismo, ma le storie più inquietanti emergono dai pueblos, i villaggi degli Anasazi, ricca civiltà sviluppatasi tra VIII e XIII secolo d.C. nei territori di Utah, Colorado, Arizona e New Mexico (Usa). Qui il cannibalismo era una pratica sistematica e molto diffusa: le prove archeologiche dimostrano che gli esseri umani venivano macellati e arrostiti, i muscoli asportati, le articolazioni tagliate, le ossa lunghe spezzate su incudini con grossi martelli di pietra, le ossa spugnose schiacciate e i frammenti cotti in recipienti ceramici. Conclude uno dei massimi studiosi del tema, il paleoantropologo americano Tim White: «Anche nel caso ben studiato degli Anasazi, è impossibile determinare se il cannibalismo fosse dovuto alla mancanza di cibo, a credenze religiose o a una combinazione di questi o altri fattori».
Quell’oscura paura di sporcarsi
Escrementi e sporcizia sono oggetti di tabù, in particolare nelle società avanzate. Il tabù della contaminazione preserva le barriere erette tra i gruppi sociali. Non a caso, in molti momenti della storia alcune popolazioni ritenute fisicamente o simbolicamente sporche sono state considerate responsabili della contaminazione culturale e razziale: pensiamo agli ebrei nella Germania nazista o ai pellerossa durante la conquista dei territori americani. In ogni caso alla base del rifiuto per il diverso c’è spesso il tabù per ciò che è sporco. Le fondamenta sono evolutive: serve ad allontanarci da ciò che potrebbe essere pericoloso per la salute, come ad esempio il cibo avariato o le deiezioni.
I tabù più… schifosi
Tossire va bene, basta mettersi la mano davanti alla bocca. Lo stesso discorso per gli starnuti. Quanto alle attività intestinali, quelle solo in bagno. Mettersi le dita nel naso, invece, è da maleducati: ce lo insegnano da bambini. Le attività che hanno a che fare con il nostro corpo sono oggetto di tabù in Occidente e vanno nascoste. Rappresentano una perdita di controllo di noi stessi, come succede nei bambini o negli anziani, e quindi un momento di regressione. Inoltre possono richiamare qualcosa di disgustoso: un rutto a tavola è associato al vomito, ad esempio. La civilizzazione, come spiegava il sociologo tedesco Norbert Elias, implica un controllo sempre maggiore degli istinti. Non è un caso, che molti di questi gesti abbiano a che vedere con orifizi come bocca, ano e narici: rappresentano punti di contatto tra l’interno e l’esterno del corpo, tra privato e pubblico.
Le parole da evitare? Riguardano il corpo, la magia, la religione
Sono tra i tabù più diffusi e consistono nella proibizione di scrivere o pronunciare ad alta voce alcune parole che diventano perciò “vietate”. È probabile che questo fenomeno tragga origine dall’arcaica convinzione che il nome di una cosa abbia il potere di evocare le forze, l’essenza o lo spirito della cosa stessa. Le parole più colpite da simile interdizione linguistica appartengono al campo magico o religioso, alla dimensione della malattia, alle sfere della sessualità e delle funzioni corporali. Il tabù linguistico più celebre è il millenario tabù religioso che vieta agli ebrei di pronunciare YHWH, il tetagramma sacro che nella Bibbia ebraica è il nome di Dio e che viene sempre pronunciato Adonai (mio Signore) o Elohim (Dio). Nelle società occidentali molte parole non scientifiche legate al sesso, agli organi genitali e agli escrementi sono diventate tabù: pronunciarle costituisce un atto osceno. E nella storia? Nella Cina imperiale, i sudditi non potevano pronunciare e soprattutto scrivere i nomi dell’imperatore e dei suoi antenati; nel 1777, ad esempio, Wang Xi Hou scrisse su un suo libro il nome dell’imperatore Qianlong e per questo venne giustiziato assieme alla sua famiglia.