Tutti i metodi, da quelli ingegnosi ai più tecnologici, con cui gli scienziati riescono a seguire gli uccelli durante le loromigrazioni, per scoprire dove vanno (e come ci arrivano)
Melissa Breyer vive a Manhattan, molto vicino all’altissimo One World Trade Center, costruito dopo l’11 settembre. Ogni mattina esce di casa e si dedica a un’attività un po’ triste ma essenziale: conta gli uccelli morti che trova per strada. E come lei fanno gli altri volontari del Project Safe Flight, visto che i grattacieli disseminati nella città americana sono un grosso problema per i volatori, che spesso non riconoscono i vetri trasparenti delle finestre o delle facciate e ci si schiantano. 14 settembre di un anno dopo, però, Melissa Breyer si è trovata di fronte a uno spettacolo che non aveva mai visto prima: sul marciapiede sotto le torri giacevano i corpi di circa 300 piccoli passeriformi appartenenti a specie diverse. La tragedia è avvenuta di notte, mentre gli uccelli stavano migrando: le luci che filtrano dalle finestre li avevano disorientati.
TECNICA INOSSIDABILE
Queste morti di massa non sono l’unico motivo per cui occorre studiare le migrazioni, fenomeno sul quale ormai abbiamo imparato molto. L’inizio degli studi risale alla fine dell’800. Anche prima ovviamente sapevamo che gli uccelli migravano: Federico II di Svevia (1154-1250), per esempio, studiò a lungo il fenomeno, ene parlò anche nel suoDearte venandi cum avibus. Mafu Hans ChristianMortensen (1856-1921), preside di un liceo con la passione per l’ornitologia, a inventare il modo per approcciare questo studio in maniera rigorosa.
Mortensen è infatti l’inventore della tecnica dell’inanellamento, che ancora oggi è la più usata per studiare le rotte migratorie degli uccelli: ogni anno il suo giardino si riempiva di storni, e cominciò a chiedersi dove andassero quando volavano via. Si ricordò di un aneddoto che gli avevano raccontato, quello di un’oca lombardella di proprietà diunallevatoredanesecheera stata ritrovata in Russia e identificata grazie a un collarino, e decise di sistematizzare questo metodo, costruendo i primi anelli di zinco da mettere alle zampe degli uccelli che voleva studiare (e che non avevano il collo abbastanza lungo per un collare): era il 1889.
Mortensen ottenne i primi risultati una decina d’anni dopo, quando dal resto del mondo cominciarono ad arrivargli lettere di cacciatori che avevano abbattuto i suoi uccelli.
Alla fine della sua carriera Mortensen aveva così inanellato e registrato 33 specie diverse: anatre, oche, storni, tordi e il suo metodo cominciò a diffondersi, prima in Europa e poi negli Stati Uniti (un anno fa, lo U.S. Geological Survey Bird Banding Laboratory, l’ente americano che se ne occupa, ha compiuto un secolo di vita). I primi inanellamenti, che permettevano di tracciare il percorso della migrazione di un singolo uccello (o quantomeno individuarne la partenza e l’arrivo), diedero una spinta decisiva allo studio delle migrazioni. A partire dalla risposta alla domanda fondamentale sul fenomeno: perché quasi la metà degli uccelli, circa 4.000 specie su un totale di circa 10.000, migrano regolarmente ogni anno? Sono specie adattate a sopravvivere solo in determinate condizioni: entro certe temperature, e con un certo tipo di cibo a disposizione, solitamente insetti. Migrare significa abbandonare un luogo dove le condizioni non sono più favorevoli per recarsi in uno dove invece lo siano.
L’INQUIETUDINE DI PARTIRE
La migrazione è dunque un fenomeno stagionale. Ma qual è il meccanismo che la fa scattare? Dipende dal “fotoperiodo”, ovvero dalla durata del giorno e della notte. Quando le ore di luce diminuiscono, e quindi arriva il freddo e spariscono gli insetti, l’organismo di questi uccelli subisce un cambiamento, ed entrano in una fase chiamata inquietudine migratoria: mangiano moltissimo per accumulare energie, compiono brevi voli per sgranchire e rafforzare i muscoli… Poi, quando il rapporto tra ore di luce e di buio supera una certa soglia, si involano. Quello che abbiamo scoperto grazie all’inanellamento è però quello che succede durante il percorso, quasi sempre un’avventura pericolosissima alla quale non tutti gli esemplari possono sopravvivere. Ogni percorso nasconde insidie, e costringe quindi a inventarsi soluzioni. I passeriformi che volano sul Sahara, per esempio, non possono stare troppo vicini al suolo: il loro corpo è ricco di grasso accumulato come carburante per il viaggio, e morirebbero di caldo. Per cui volano più in alto, fino a 6 km di altitudine, e tornano verso terra solo di notte, quando la temperatura si abbassa.
Inoltre, gli ostacoli naturali sono raramente un problema per i migratori: l’oca indiana, per esempio, supera regolarmente la catena dell’Himalaya durante il suo viaggio, anche se il record di altitudine in volo registrato è quello del grifone di Rüppell: 11.200 m. Il vero pericolo per i migratori, però, è un altro, ed è il motivo per cui l’Italia è una stazione di sosta privilegiata per centinaia di specie di ogni dimensione. Per un migratore che deve andare dall’Africa all’Europa l’ostacolo è il Mediterraneo. In generale, mari e oceani sono pericolosissimi per i migratori: se finiscono le energie in volo e non trovano un’isola o uno scoglio su cui posarsi rischiano di finire in acqua e inzupparsi: a quel punto non riescono più a tornare in aria e muoiono. E infatti molte isole italiane, per esempio Ponza e Linosa, sono stazioni di inanellamento privilegiate, che raccolgono per una sosta la maggior parte dei passeriformi che migrano verso il Nord Europa.
CARTE DI IDENTITÀ
Del resto l’inanellamento, pur essendo una tecnica “antica”, è usatissimo ancora oggi. In Italia la rete di inanellatori comprende più di 300 persone. Gli anelli portano un codice identificativo unico (vedi riquadro nella pagina precedente): indica che specie è, dove e quando è stata inanellata e quale centro nazionale ha autorizzato l’inanellamento (quindi in che Paese è stato catturato per la prima volta quell’esemplare). Possono essere inseriti in due momenti diversi della vita dell’animale: gli uccelli più grossi e difficili da catturare quando sono adulti (per esempio cicogne, gru e quasi tutti i rapaci) vengono inanellati da pulcini, quando sono ancora nel nido: vengono dotati di anelli che si possono riconoscere a distanza, senza bisogno di ricatturarli. Per gli uccelli più piccoli si usano invece le cosiddette mist-net, reti speciali fatte di filo di nylon e studiate per intrappolare gli animali senza far loro del male. Ovviamente negli anni la tecnica si è evoluta. Ogni specie ha un anello di un materiale specifico: per quelle che passano tanto tempo con le zampe in acqua, per esempio, si usano materiali inossidabili, mentre per quelle che vivono nella macchia mediterranea e rischiano quindi di graffiare l’anello e rendere i numeri identificativi illeggibili si usano materiali antigraffio. La distinzione tra uccelli migratori di grandi e piccole dimensioni è fondamentale, perché influenza il modo di studiarne il viaggio e anche perché, inanellandoli e tracciandoli, è stato scoperto che i due gruppi migrano in modo completamente diverso. Al primo appartengono gru, cicogne e grossi rapaci, che volano tenendo le ali immobili e sfruttano le correnti ascensionali calde per risparmiare energia: non passano sopra il Mediterraneo, ma lo aggirano, perché sul mare le correnti ascensionali sono assenti o troppo deboli, e non riuscirebbero a planare per un percorso così lungo. Al secondo gruppo, invece, appartengono i passeriformi, che volano “sbattendo continuamente” le ali, e non hanno problemi a sorvolare il mare, sempre che possano posarsi ogni tanto per riprendere le forze.
LE ULTIME SOLUZIONI TECNOLOGICHE
Dalle dimensioni dell’animale dipende poi il modo di tracciarlo. Ai grossi migratori può essere applicato un piccolo Gps senza che il volo ne risenta; così si possono conoscere tutti i loro spostamenti in tempo reale, visto che i dati vengono trasmessi senza interruzioni. Per gli uccelli più piccoli si usano invece i cosiddetti datalogger,cheregistranoaintervalli regolari alcuni dati sul viaggio: data, orario di alba e tramonto, posizione geografica. Il risultato è un percorso meno preciso ma comunque affidabile; l’unico problema è che per recuperare questi dati bisogna riprendersi fisicamente il datalogger, e dunque non basta osservare l’uccello da lontano: bisogna ricatturarlo. Infine, le ultime sperimentazioni riguardano i radar, anche se con questo strumento è complicato fare stime numeriche precise. Poter seguire gli uccelli anche con il buio, però, è fondamentale. Molti uccelli migratori cambiano abitudini quando è il momento di partire, e da diurni diventano notturni. E questo provoca loro grossi problemi: poiché si sono evoluti in un mondo che di notte era perfettamente buio, oggi finiscono con lo scontrarsi, soprattutto se le loro rotte passano sopra zone altamente urbanizzate, con le luci artificiali e i palazzi di vetro (che per loro è come se… non esistessero) come è accaduto a New York.