Identikit della misteriosa sostanza, definita dagli scienziati “il negativo della materia”, che dopo il Big Bang scomparve. Scoprire perché consentirà di fare importanti passi avanti nello studio della fisica dell’universo
Nel nostro immaginario l’antimateria è legata soprattutto alla saga televisiva e cinematografica di Star Trek o al film Angeli e demoni, tratto dall’omonimo romanzo di Dan Brown. Nella prima è il combustibile che fa volare le astronavi a velocità superiori a quella della luce, nel secondo è utilizzata per fabbricare una bomba di terrificante potenza destinata a distruggere la Città del Vaticano. Anche se nessuno oggi è in grado di usarla per questi scopi, l’antimateria non è l’invenzione di qualche scrittore di fantascienza. Esiste davvero ed è al centro dell’interesse dei fisici di tutto il mondo. Ma di cos’è fatta e che cosa la rende così speciale?
Come in uno specchio
Per descrivere l’antimateria basta dire che si tratta dell’immagine speculare della materia che ci compone, o meglio del suo “negativo”. A intuirne l’esistenza è stato nel 1930 l’inglese Paul Dirac, premio Nobel per la fisica nel 1933, che, in base alle leggi della meccanica quantistica e della relatività speciale, dedusse che a ogni particella, come l’elettrone e il protone, dovessero corrispondere altrettante antiparticelle, chiamate rispettivamente positrone e antiprotone, con massa uguale ma carica elettrica e rotazione intorno al proprio asse opposte. Negli anni successivi le prove a favore dell’esistenza delle antiparticelle andarono accumulandosi, prima con la scoperta nel 1932 della presenza del positrone nella radiazione cosmica, poi, negli anni Cinquanta, con la creazione dell’antiprotone e dell’antineutrone nei laboratori dell’Università di Berkeley, in California.
Oggi sappiamo che anche a ciascuno dei componenti più intimi della materia, i minuscoli quark, corrispondono altrettanti antiquark identici ma di segno opposto. Con il passare degli anni, nei grandi acceleratori che bombardano i nuclei atomici di antiparticelle, se ne sono prodotte molte, ma l’impresa di ottenere veri e propri antiatomi si è rivelata molto più ardua. Un primo successo è stato ottenuto nel 2002 al Cern di Ginevra durante il cosiddetto Esperimento Athena, eseguito da una quarantina di scienziati di varie nazioni. Nell’esperimento, condotto a temperature di -263 °C, furono prodotti 50mila atomi di antiidrogeno, neanche un miliardesimo di grammo. La loro “vita” è stata di appena qualche miliardesimo di secondo, ma ha rappresentato il primo passo verso la possibilità di produrre, controllare e infine intrappolare un piccolo frammento di antimondo.
L’enigma delle origini
Nei rivelatori degli acceleratori di particelle non c’è però nulla che suggerisca perché tutto quanto conosciamo sia fatto di materia e non di antimateria o perché l’universo non sia completamente vuoto e permeato solo di radiazioni elettromagnetiche. Per cercare una spiegazione a questo mistero fisici e cosmologi sono risaliti a 15 miliardi di anni fa, ai primissimi istanti dopo il Big Bang. All’inizio la temperatura doveva essere così elevata da permettere alla sola energia di esistere. Solo con il successivo raffreddamento cominciarono a emergere coppie di particelle e antiparticelle in quantità uguale e in uno stato di equilibrio con le radiazioni che permeavano l’universo neonato. Le coppie si annichilavano reciprocamente in continuazione, liberando energia che dava origine a nuove coppie particella-antiparticella. Secondo una teoria del fisico russo Andrej Sacharov, in quelle condizioni estreme protoni e anti-protoni dovevano essere instabili e soggetti a decadere, generando particelle più leggere, ma con un comportamento non simmetrico, tanto che con il tempo la quantità di materia prodotta dalla disintegrazione di protoni e antiprotoni sarebbe via via aumentata a spese dell’antimateria. L’universo primordiale avrebbe perso il suo equilibrio termodinamico, e l’energia libera non sarebbe più stata in grado di rimpiazzare le coppie di particelle e antiparticelle distrutte dall’annichilazione. Da quell’ecatombe cosmica si sarebbe salvata solo la piccola quantità di materia in sovrappiù. Quella che avrebbe dato origine a stelle e galassie e, alla fine, anche ai pianeti.
Le antiparticelle si usano in medicina
A basse energie, l’annichilazione elettrone-positrone è usata nella tomografia a emissione di positroni (Pet), utile per lo studio dell’attività metabolica cerebrale. Nella Pet, i positroni sono generati dal decadimento dei nuclei radioattivi presenti in uno speciale fluido iniettato al paziente. I positroni così liberati, scontrandosi con gli elettroni, producono radiazioni elettromagnetiche che sono registrate ed elaborate elettronicamente per comporre immagini. La Pet perciò visualizza le regioni cerebrali in cui si verifica un accumulo della “sonda molecolare” impiegata. Così si scopre in quali aree del cervello il metabolismo è particolarmente attivo o si studia il legame di certi farmaci a determinati recettori cerebrali.
Un motore ad altissima velocità per le stelle Come accorciare drasticamente la durata di un viaggio spaziale? È quanto si è chiesta la Nasa, che ha dato incarico ai ricercatori del Marshall Space Flight Center, diretto da George Schmidt, di studiare come sfruttare le proprietà dell’antimateria. Facendo interagire materia e antimateria, attraverso il processo di annichilazione si libera infatti una quantità di energia enorme: a parità di massa, l’energia è 1.500 volte maggiore che nella fissione nucleare e 250 volte maggiore che nella fusione nucleare. Dall’annichilazione di protoni e antiprotoni si ottengono neutrini, muoni e pioni, che decadono in radiazioni gamma. I primi, essendo neutri, sono inutilizzabili. Muoni e pioni, invece, avendo una carica sono influenzati dai campi magnetici e possono essere indirizzati nella direzione voluta consentendo di spostare un’astronave nello spazio secondo il principio di azione-reazione. Se si riuscisse a costruire un motore di questo tipo, come quello dell’Enterprise di Star Trek, e si disponesse di un quantitativo sufficiente di antimateria, l’astronave che ne fosse dotata potrebbe raggiungere velocità fino al 60 per cento di quella della luce, pari a 180mila chilometri al secondo. A parte i costi spaventosi per produrre anche solo un milligrammo di antimateria, il problema sarebbe lo stoccaggio. Se urtasse i lati del “recipiente”, anche una piccola quantità di antimateria potrebbe creare un’esplosione pari a quella di una bomba nucleare.
Durante i temporali se ne crea un po’
Fuori dai laboratori, l’antimateria si produce in minuscole quantità e in condizioni particolari, per esempio durante i temporali più intensi. Lo ha rivelato per caso il satellite Fermi della Nasa, scrutando i fenomeni ad alte energie nelle profondità dello spazio. Secondo una ricostruzione degli esperti, l’intenso campo elettrico che si genera sopra un temporale produce una miriade di elettroni che si diffondono al di sopra delle nuvole. A contatto con le molecole dell’aria gli elettroni emettono raggi gamma, la più intensa delle forme di energia. Quando passano vicino al nucleo di un atomo, questi lampi super-energetici creano una coppia di particelle di carica opposta. Un po’ di antimateria, appunto.