Uno stato intermedio tra veglia e sonno, nel quale un’area del cervello – quella deputata alle attività logiche – è “spenta”. Oggi, dopo diversi test, il mondo scientifico ne riconosce la validità e l’utilizza per curare sia il corpo sia la mente
Una tecnica misteriosa e basata sulla capacità di impossessarsi della mente dell’altro. Tanta letteratura ha descritto così l’ipnosi, alimentando la credenza che si tratti di qualcosa di quasi magico, complici anche gli ipnotisti da palcoscenico: «Spesso però», ha scritto Michael Heap, psicologo forense all’Università di Sheffield (Regno Unito), «questi ultimi sono solo abili uomini di spettacolo che si servono di complici o di trucchi da prestigiatore». Così l’ipnosi è da sempre stata vista con diffidenza dal pubblico, ma anche da gran parte del mondo scientifico che non di rado l’ha relegata tra le pseudoscienze.
Stato mentale non ordinario Eppure così non è. In tempi recenti, si è appurato che la condizione ipnotica coincide con un reale cambiamento del funzionamento del cervello e in particolare con lo “spegnimento” di un’area, la corteccia prefrontale, responsabile di tutte le attività logiche. Attenzione però a non pensare che questo implichi uno stato alterato della coscienza: l’ipnosi è infatti soltanto una tra le diverse e fisiologiche possibilità di funzionamento del nostro cervello.
Del resto qualcosa di analogo capita a tutti: «Ogni giorno», ha scritto lo psicologo americano ed esperto di paranormale Andrew Neher, «eseguiamo una serie di azioni in modo automatico, senza pensarci: lavarci i denti, allacciare le scarpe, fare la strada da casa al lavoro. Le facciamo senza aver preso una decisione in merito e senza esserne pienamente consci. Questo si chiama condizionamento ed è lo stesso tipo di situazione mentale di quando siamo ipnotizzati».
In altre parole l’ipnosi è un assorbimento così intenso della nostra concentrazione che porta a isolarci momentaneamente dal mondo. Perciò oggi si preferisce definire l’ipnosi come una non-ordinary mental expression (Nome) ovvero una funzionalità mentale non ordinaria. Il termine “stato alterato” ha un’accezione negativa. Considerare alla stessa stregua ipnosi e stati vegetativi o il delirio da schizofrenia è fuorviante.
Cosa succede nel cervello
Questa diversa concezione dell’ipnosi è confermata oggi anche dagli studi condotti con la risonanza magnetica funzionale. Quello di David Spiegel e colleghi dell’Università di Standford (Usa), pubblicato su Cerebral Cortex nel 2016, ha mostrato per esempio, sulla base di scansioni effettuate sul cervello di 57 soggetti sotto ipnosi, che durante questo stato alcune aree mostrano alterazioni nella rete di connessioni.
«Conoscendo le regioni cerebrali coinvolte dall’ipnosi», ha spiegato Spiegel, «possiamo utilizzare queste conoscenze per alterare la capacità dei pazienti di lasciarsi ipnotizzare e per comprendere l’efficacia di questa pratica ad esempio nella terapia del dolore».
Ricerche come queste illustrano infatti le potenzialità enormi dell’ipnosi: si tratta di conoscenze che a livello prescientifico erano già disponibili secoli or sono, ad esempio nella cultura indiana, ma che ora hanno una spiegazione. Non è un caso che oggi si scoprano anche numerose somiglianze tra l’ipnosi e la meditazione, così centrale in quelle culture. A entrambi gli stati infatti si accede focalizzando l’attenzione, ad esempio, su un pensiero o su un oggetto o un suono. Con ipnosi e meditazione si può agire in modo intenzionale sul proprio stato di coscienza e migliorare il controllo della mente e del corpo, ad esempio per migliorare la performance nelle attività artistiche come nello sport. Infine nei due casi si regista l’attivazione delle identiche aree del cervello.
Chi può essere ipnotizzato?
Da decenni circolano anche leggende metropolitane che farebbero pensare a un uso molto meno virtuoso dell’ipnosi: molti credono infatti che alcuni rapinatori riescano a ipnotizzare le loro vittime contro la loro volontà per indurle a consegnare soldi o preziosi. Le ipno-rapine non esistono. L’ipnosi infatti non è in grado di agire sulla volontà del soggetto che rimane sempre consapevole.
Tuttavia può capitare che un abile rapinatore possa riuscire a indurre alcuni soggetti predisposti in uno stato di tale confusione da indurre la vittima a cedere ai suoi comandi. In questo caso si tratta di un’eventualità molto rara. La prima condizione perché l’ipnosi si possa verificare, infatti, è che il soggetto sia sempre consenziente. Molti studi, però, hanno dimostrato come non tutti siamo ugualmente ipnotizzabili. La cosiddetta alta ipnotizzabilità, sembra essere legata a un’elevata capacità di restare assorti a lungo su un pensiero, al fatto di possedere una fervida immaginazione e a una buona dose di collaborazione con l’ipnologo.
Perché in fondo l’ipnosi è pur sempre un momento di profonda intesa psichica e fiducia tra due persone.
Come si fa a ipnotizzare?
Esistono varie tecniche per indurre un soggetto in ipnosi: quel che conta è che l’ipnologo riesca a creare un legame di fiducia teraupeta-paziente. L’obiettivo è sempre lo stesso: accedere all’inconscio. Durante la seduta il terapeuta entra in comunicazione con questa parte attraverso il sistema limbico-ipotalamico, il ponte di comunicazione tra mente e corpo. È per questo che l’ipnosi può stimolare i meccanismi di guarigione che ciascuno di noi possiede così da assicurare l’accesso a risorse di cui non siamo consapevoli. Generalmente, il soggetto è invitato a fissare un punto nello spazio mentre l’ipnotizzatore ripete dolcemente parole che favoriscono il rilassamento. Così il paziente entra in una condizione tra il dormiveglia e il cosiddetto incantamento, quello in cui cadono i bambini quando sono distratti. Da qui in poi il ruolo dell’ipnologo è quello di guida: deve condurre il paziente verso uno stato che però è solo lui a poter generare dentro la sua mente. È anche possibile indurre uno stato di ipnosi meno profondo in cui il paziente resta parzialmente cosciente.
Una delle più recenti tecniche è quella non verbale che produce uno “spegnimento” della parte più razionale del cervello iperattivando l’amigdala, sede delle emozioni più ataviche.
Per ottenere il potenziamento dell’amigdala si è preso spunto dalle forme rituali di induzione della trance praticate dalle culture primitive nelle quali il soggetto è sottoposto a un sovraccarico emotivo attraverso i ritmi concitati delle percussioni.
L’ipnosi non verbale è provocata facendo assumere al soggetto una posizione eretta e rilassata; quindi l’ipnologo gli si mette al fianco, pone le mani una davanti alla fronte e una dietro la nuca e produce vocalizzi simili a quelli dei predatori, capaci di provocare stordimento nelle prede, ma cadenzati come i ritmi primitivi. A quel punto il soggetto trema, barcolla e cade.
I ricordi rievocati durante l’ipnosi sono veri?
Solo parzialmente: sono rievocazioni intense, che possono comprendere anche ricordi non accessibili alla coscienza. Tuttavia non sono esenti da rielaborazioni e pertanto non possono essere usati come testimonianza, ad esempio in tribunale. Possono essere infatti confabulazioni, cioè fantasie mescolate a esperienze reali. In ogni caso l’ipnosi regressiva, durante la quale si chiede al paziente di rievocare il passato, è solo uno dei molti impieghi di questa tecnica.
L’ipnosi può essere pericolosa?
Agendo sulla mente, l’ipnosi è spesso ritenuta pericolosa, ma così non è, se usata correttamente: certamente non è indicata nei disturbi psichiatrici gravi perché potrebbe creare problemi. Come tutte le terapie, infatti, anche l’ipnosi ha precise indicazioni. In ogni caso, se eseguita in modo corretto da ipnologi qualificati, non è in alcun modo dannosa.