Costruire un modello del funzionamento del cervello di ognuno di noi è già possibile. Servirà a mettere a punto cure e “riparazioni” mirate
Perché limitarsi a ricreare le cellule cerebrali o cercare il modo per far dialogare la nostra materia grigia con qualche appendice digitale, quando su computer si potrebbe copiare direttamente e per intero il cervello? Sembra fantascienza, ma non lo è: c’è già chi è al lavoro per realizzare una fedele replica digitale del cervello umano, un modello computerizzato che imiti alla perfezione quel che accade nei circuiti neuronali di pazienti con epilessia o malattia di Alzheimer.
CONNESSIONI IMPAZZITE
Come per tutti gli altri tentativi di copia del cervello o delle sue cellule, infatti, anche in questo caso l’obiettivo è trovare soluzioni per patologie che colpiscono il sistema nervoso: i “gemelli digitali” del cervello stanno diventando realtà nell’ambito del progetto Neurotwin, finanziato dall’Unione Europea e avviato lo scorso anno per una durata di quattro anni, allo scopo di aiutare a capire come stimolare i circuiti nervosi alterati da epilessia e Alzheimer così da riportarli alla normalità. In queste malattie ci sono anomalie nelle connessioni cerebrali. Nell’epilessia (in cui le crisi sono scatenate da un’attività elettrica cerebrale “impazzita” che spesso parte da zone e reti cellulari specifiche, ndr) questo è evidente, ma si è capito che anche nell’Alzheimer l’alterazione dell’attività di alcuni circuiti impatta sulle funzioni cerebrali: esistono network che collegano vari tipi di neuroni e che nei pazienti “saltano”, contribuendo ai deficit cognitivi. Qualcosa di simile accade anche nell’ictus e nella depressione, in cui per esempio ci sono parti del cervello meno attive. In sostanza, molti problemi neurologici e psichiatrici sono malattie del cosiddetto “connettoma”, l’enorme insieme di collegamenti fra neuroni responsabile del funzionamento del cervello: quando si modifica e si altera compaiono sintomi vari, più o meno gravi.
Poiché le cellule parlano fra loro scambiandosi segnali elettrici a basse frequenze, esiste la possibilità di interferire con questi dialoghi cerebrali dall’esterno nella speranza di riportare tutto nella norma. Lo si può già fare con sistemi di stimolazione elettrica transcranica che per esempio erogano correnti a 40-50 hertz tramite elettrodi appoggiati sul cranio: alcuni ricercatori del Gwangju Institute of Science in Corea del Sud hanno dimostrato che nei topolini questa strategia consente di recuperare l’attività dei circuiti cerebrali danneggiati dall’Alzheimer. Perché la stimolazione sia davvero efficace però bisogna centrare il bersaglio giusto e ciascuno di noi ha un cervello differente da tutti gli altri: come scovare il punto preciso da attivare in ciascuno in modo da poterlo curare?
MASSE NEURALI
L’idea del gemello digitale in cui le connessioni di un sin golo cervello sono fedelmente riprodotte nasce proprio per rispondere a questa domanda: nel modello al computer viene ricreata una mappa del connettoma di ciascun paziente, così si può simulare quello che accade applicando correnti dall’esterno in un punto o in un altro della rete dei collegamenti per decidere come intervenire avendo un’ipotesi abbastanza realistica di quel che accadrà.
Per creare il doppione si registrano dati da esami come risonanza magnetica ed elettroencefalogramma. In circa un’ora siamo in grado di raccogliere i dati per avere un modello fisico, che descrive come si muovono le correnti elettriche nel cervello e può essere già usato per ottimizzare la terapia con stimolazione elettrica. Adesso però stiamo cercando di arrivare a un modello che sia anche fisiologico, ovvero racconti in dettaglio come si modifica il comportamento cerebrale. Per riuscirci stiamo suddividendo il cervello in sezioni più piccole, da cento a un migliaio, di cui misuriamo l’attività media per costruire una rete di “modelli di massa neurale” che ne rappresentano il comportamento dinamico. Tutto il procedimento è ancora artigianale, per ciascun paziente servono due, tre giorni prima di arrivare a un modello personalizzato su cui iniziare le prove di stimolazione.
Per il prossimo anno è previsto l’avvio delle prime sperimentazioni cliniche su persone con Alzheimer o epilessia resistente ai farmaci, che saranno sottoposte alla stimolazione cerebrale in modo ottimizzato sulla base dei test condotti sul loro cervello gemello; per il futuro, se la procedura dovesse dare buoni risultati, l’obiettivo è studiare come intervenire per ristabilire le giuste connessioni in caso di depressione, dolore cronico, sclerosi multipla.
IN FUTURO CLONI PERFETTI?
Non solo. In futuro potremmo utilizzare il modello per capire come agiscono i farmaci sulle connessioni fra cellule cerebrali, attraverso i loro meccanismi molecolari e non solo, e decidere quali siano i più adatti da prescrivere ai pazienti. Quando avremo tanti “cervelli digitali” potremo poi utilizzarli per comprendere quali siano i parametri più importanti per prevedere il decorso dei pazienti.
Potremo capire come ragioniamo solo osservando il nostro doppione al computer? Siamo molto lontani dal riuscirci perché la risoluzione a cui arriviamo oggi è bassa, i “pezzetti” in cui possiamo suddividere il cervello sono ancora grossolani. La tecnologia però fa passi da gigante e non è escluso che in futuro sia possibile, aumentando il livello di dettaglio, usare i nostri gemelli digitali per tracciare un profilo psicologico o della performance cognitiva, oppure addirittura arrivare a una sorta di “neuroclone” davvero identico da cui potremo recuperare informazioni che vadano oltre il funzionamento fisiologico del cervello e ci dicano qualcosa su come pensiamo.