Una recente ondata di caldo a Jacobabad, Pakistan, ha visto le temperature raggiungere il record di 51˚C, pericolosamente vicino al limite della sopravvivenza umana
Ogni anno vengono infranti i record relativi alle ondate di caldo. A giugno 2022 abbiamo visto le temperature salire fino a 51˚C in Pakistan centrale, mentre nel 2021 è stato rilevato un aumento di quasi 5˚C rispetto al precedente record nel Canada Occidentale. Riguardo alle ondate di caldo nel subcontinente indiano, si è stimato che le condizioni legate al cambiamento climatico le abbiano rese 100 volte più probabili e che, alla fine del XXI secolo, ondate di caldo da 50˚C saranno una ricorrenza annuale. I valori possono variare a seconda di dove siete nel globo terrestre, ma una cosa è certa: la temperatura diventerà estrema. Il caldo e il freddo percepiti non dipendono solo dalla temperatura, ma da una serie di condizioni climatiche. Umidità, velocità del vento e intensità delle radiazioni solari possono incrementare o diminuire la nostra percezione della temperatura (da cui il dato di “temperatura percepita”), ma l’aspetto preoccupante è che determinate combinazioni di questi fattori possono risultare mortali.
Secco o umido?
Il cuore di queste combinazioni è quella che si definisce la “temperatura di bulbo secco”. (Dry-Bulb o DB) Quando si dice genericamente “temperatura” si intende questo dato, che convenzionalmente è quello che si ottiene quando si utilizza un termometro a diretto contatto con l’aria, schermato da radiazioni solari e/o umidità.
A questo, i meteorologi spesso affiancano il concetto di “temperatura percepita”, detta anche “temperatura di bulbo umido” (Wet-Bulb o WB), ossia lo stesso termometro, nella stessa posizione, viene avvolto in un tessuto bagnato, che simuli i trasferimenti di calore all’interno del nostro corpo. Immaginate una notte calda e umida e la sgradevole sensazione di non riuscire a rinfrescarsi, il principio è lo stesso. Fisiologicamente, gli esseri umani, e in realtà tutti i mammiferi, sudano per rinfrescarsi, procedimento che, tra l’altro, aiuta a espellere i rifiuti dal nostro corpo. Se l’umidità nell’aria è troppo alta, il nostro sudore non evapora e così il meccanismo rinfrescante si blocca.
Conosciamo i limiti di tolleranza umana: una temperatura WB di 35˚C. A tali livelli, gli esseri umani non sopravvivono più di un paio d’ore, perché non riescono più a trasferire il calore interno del corpo all’ambiente. In apparenza è un valore basso, ma il valore numerico WB è sempre inferiore a quello DB (tranne nel caso del 100% di umidità nell’aria). Questo significa che una temperatura di 35˚C WB, equivale grosso modo a una di 50˚C DB, anche con moderati livelli di umidità. La domanda a questo punto è: abbiamo mai superato la soglia dei 35˚C WB? La risposta è sì, ma molto raramente. Abbiamo solo dieci casi registrati, suddivisi tra Medio Oriente, subcontinente indiano, Australia e Messico. Anche quando le temperature WB non raggiungono tali picchi, le città densamente popolate in queste regioni vivono problemi sanitari legati al caldo e quindi è comune vedere ogni anno, nei maggiori centri urbani, centinaia di morti provocate dal calore.
In genere, più ricche e moderne sono le città, meno problemi ci sono e alcune delle metropoli del Medio Oriente hanno imparato ad adattarsi. In effetti, a Dubai e Abu Dhabi gli abitanti indossano abiti caldi anche nel cuore dell’estate, perché viaggiano al chiuso da palazzo a palazzo, con l’aria condizionata al massimo, senza bisogno di uscire per strada. Ma i poveri e chi abita fuori città non godono di tali lussi. Dobbiamo chiederci: il cambiamento climatico peggiorerà questa situazione? Dato l’aumento della temperatura, dobbiamo aspettarci altri giorni in cui si varcherà la soglia dei 35˚C WB, ma è presumibile che questi casi saranno sempre rari e dureranno solo poche ore. Ci aspettiamo che siano limitati a località tropicali o subtropicali e solo in anni particolari. È anche probabile che simili eventi diminuiscano se riusciamo a centrare gli obiettivi stabiliti dai protocolli di Parigi, ossia mantenere la crescita della temperatura al di sotto dei 2˚C. Ma anche se il termometro non supera i limiti di sopravvivenza, il caldo può uccidere.
Adattarsi ai nuovi livelli climatici sarà inevitabile, ma la buona notizia è che abbiamo già una serie di strategie capaci di ridurre il calore. In Europa, per esempio, possiamo pensare a strade con edifici alti ai lati, che proteggano i passanti dalla luce del sole, ed edifici dipinti con colori brillanti che riflettano il calore solare, così che all’interno l’ambiente sia più fresco. Nei Paesi più vicini all’Equatore, invece, bisognerà adottare misure più drastiche. Laddove finanziariamente sostenibile, l’aria condizionata è un’ottima opzione, ma molti dei Paesi più poveri non hanno l’infrastruttura energetica per sostenere una tale tecnologia. Una strategia applicabile quasi dappertutto – e si è visto che funziona – è introdurre spazi naturali nelle città, come aree alberate e specchi d’acqua. Dove il clima di base non sostenga tali aggiunte all’ecosistema è impossibile farlo, ma laddove è possibile, questa strategia rappresenta una fonte di benefici, fisici e mentali. In un mondo sempre più urbanizzato, abbiamo passato anni a spazzare via la natura. Ora è tempo che si riprenda una parte dei suoi spazi.