L’attività fisica è nata con noi ed è salutare ma ha anche enormi implicazioni sociali e politiche
Chi ssà se gli uomini primitivi si sfidavano nella corsa o a chi gettava la lancia più lontano. Forse qualcuno lo ha fatto, per dimostrare ai compagni di tribù di essere il più forte. Ma lo sport come lo conosciamo, con le sue regole, è nato molto dopo: per millenni il movimento è stato limitato a quello necessario a procacciarsi il cibo. Solo con l’avvento delle prime grandi civiltà è diventato sport. Ovvero un rituale sociale, religioso e politico; come in Grecia, dove i vincitori delle Olimpiadi erano venerati in odi e poemi. Oppure una forma di intrattenimento spettacolare, come accadeva nell’antica Roma con i combattimenti. E se tornei cavallereschi, pallacorda francese e calcio fiorentino hanno segnato Medioevo e Rinascimento, è nell’800 che lo sport si è trasformato in attività codificata, con regolamenti precisi. Come saremmo oggi se non fosse successo, se non avessimo mai provato a gareggiare in velocità e salti, se non conoscessimo il basket o la pallavolo?
PIGRIZIA DEL XXI SECOLO
Sicuramente saremmo meno in salute. Fino ad alcuni decenni fa, infatti, la maggioranza della popolazione poteva dirsi fisicamente attiva: scale mobili e ascensori erano rari, pochi avevano l’auto, i bambini e i ragazzi uscivano per giocare tutti i giorni. Oggi, il lockdown per contenere la pandemia di Covid-19 può solo peggiorare una situazione già parecchio “statica”: ci spostiamo dal divano alla cucina oppure, nel migliore dei casi, da casa al luogo di lavoro. Per i giovanissimi, le tre ore settimanali di allenamento di calcio, ginnastica e così via sono l’unica occasione per staccarsi letteralmente dalla sedia; lo stesso vale per la corsa o l’uscita in bici degli adulti. Se non esistesse lo sport, i venti milioni di italiani che ne praticano uno o più sarebbero anche loro spiaggiati sul divano. Così saremmo di certo più grassi, e questo aumenterebbe il rischio di malattie come il diabete e le patologie cardiovascolari e metaboliche. Non a caso anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità “prescrive” lo sport come medicina preventiva: visto che la sedentarietà uccide, il minimo raccomandato è 150 minuti alla settimana di attività fisica moderata o intensa, quindi almeno una camminata sportiva che faccia sudare e possa supplire al fatto che passiamo il resto del tempo quasi sempre in panciolle. Senza sport saremmo anche più predisposti alle malattie, perché l’attività fisica “allena” il sistema immunitario: succede perfino in chi è più debilitato, come ha dimostrato una ricerca della Victoria University in Australia su uomini con tumore alla prostata, in cui un miglioramento della risposta immunitaria può avere effetti anticancro, perché le cellule immunitarie possono riconoscere ed eliminare le cellule malate con maggiore efficienza.
Finiremmo poi per ingessarci una gamba o un braccio più spesso, perché avremmo ossa fragili come porcellana: l’attività fisica infatti impone al nostro organismo di depositare massa ossea in abbondanza per far fronte alle sollecitazioni del movimento. Stando fermi diventeremmo man mano sempre più simili agli invertebrati. E, chissà, forse alla lunga ci estingueremmopermancanzadi attività sessuale: la Società Italiana di Andrologia di recente ha sottolineato che la sedentarietà porta lui a fare flop sotto le lenzuola, dimostrando su pazienti con disfunzione erettile che incrementare ilmovimento quotidiano fino a raggiungere i fatidici 10mila passi aiuta il sesso in un caso su due.
MEGLIO DEI FARMACI
Lo sport fa bene anche all’umore: ricercatori dell’Oregon University hanno pubblicato sulla rivista Mental Health and Physical Activity un ampio studio da cui emerge che saremmo più esposti al rischio di depressione e di alterazioni dell’orologio biologico e quindi, per esempio, del ciclo sonno-veglia. Quando svolgiamo attività motorie, il benessere mentale migliora grazie alle endorfine prodotte, che hanno molti effetti positivi sul cervello; anche il bisogno di riposo indotto dallo sforzo, poi, contribuisce a mantenere un buon ritmo sonnoveglia. Così non c’è da stupirsi che già nel 1982 il Journal of the American Medical Association scrivesse che «non esistono programmi né farmaci in grado di offrire garanzie per prolungare la qualità della vita al di là di un’attività fisica costante». La capacità di movimento è scritta nei nostri geni e sta alla base di ogni mansione, senza non esisteremmo. La crescente consapevolezza dell’utilità dello sport ha favorito il riaffermarsi di uno stile di vita dinamico che l’uomo moderno rischiava di alterare; in Italia però siamo in ritardo rispetto ad altre nazioni nel considerare l’attività fisica come medicina preventiva. Le nostre città per esempio spesso non sono concepite per lo sport.
Per di più senza sport, salute a parte, saremmo più maleducati: essere “sportivo” significa saper accettare le sconfitte, rispettare l’avversario, condividere regole e attenervisi. Tutti gli sport hanno il valore didattico e civile di educare all’apprendimento di regole e alla loro comprensione. Alcuni sport educano anche a risolvere problemi, ad avere intuizioni, a cogliere l’attimo successivo a una mossa sbagliata dell’avversario. Forse educano anche a comprendere meglio discipline come la matematica: imparare gli assiomi della geometria euclidea, per esempio, è un po’ come imparare le regole di un gioco.
LA TREGUA OLIMPICA DELL’ANTICA GRECIA
Anche la società e la storia sarebbero state diverse, senza lo sport. Le Olimpiadi di Berlino nel 1936 furono un potente mezzo di propaganda per la Germania nazista, la vittoria del Sudafrica nella Coppa del mondo di rugby del 1995 è stata il principale motivo di coesione per un nuovo corso in quel Paese. Senza lo sport, la Storia sarebbe cambiata. Nell’antica Grecia per esempio vi era la “tregua olimpica”, la sospensione di ogni conflitto durante i Giochi, non solo in onore delle divinità a cui erano dedicati, ma anche per motivazioni economiche: l’indotto generato dalle manifestazioni atletiche era fondamentale per le casse dello Stato, dunque nessuno poteva essere minacciato, soprattutto gli atleti e gli spettatori che dovevano attraversare i territori nemici per arrivare a Olimpia.
Il denaro “mosso” dallo sport era tanto allora come oggi: secondo i dati di Nielsen Global Media, presentati allo Sport & Business Summit nel novembre 2019, il settore fattura oltre 250 miliardi di dollari l’anno con un trend in crescita, soldi mossi in gran parte dal merchandising, dai biglietti degli eventi e dai diritti pagati dalle televisioni che li trasmettono.
In Europa ogni anno grazie allo sport lavorano circa 4,5 milioni di persone, che contribuiscono ad ampliare un indotto già enorme generato dagli spostamenti dei tifosi e dai loro consumi, ma anche dai miliardi spesi in scommesse. Senza contare le cifre da capogiro dagli sponsor: Cristiano Ronaldo incassa circa 3 euro al secondo magenera profitti ben maggiori alle aziende che lo sponsorizzano, dando lavoro a migliaia di famiglie. Gli sportivi sono turisti, consumatori, praticanti che innescano meccanismi in ambito economico. Basti pensare al proliferare di offerte epacchetti turistici dedicati agli sportivi, così come agli hotel che adattano la loro offerta alle esigenze di clienti attenti alla gestione del proprio tempo dedicato allo sport. Una serie di motivi che spiegano perché il calcio si continui a giocare il più possibile, anche a pandemia in corso. Un assaggio del mondo senza sport e del tracollo economico che ne deriva lo abbiamo avuto con il lockdown della scorsa primavera. In quei mesi, per compensare l’assenza di manifestazioni cui assistere, molti tifosi hanno scoperto i tornei di e-sport, che si giocano su console: l’eNASCAR Racing virtuale, a marzo, è stato visto negli Stati Uniti da oltre 1,3 milioni di persone, un boom senza precedenti per una competizione di sport virtuale.
La “nostalgia” delle competizioni, anche solo da spettatori, ci travolge perché senza sport ci sentiamo un po’ persi. Ne abbiamo bisogno come collante emotivo: senza, mancherebbe un’occasione di coesione sociale, per chi si dà appuntamento per una manifestazione sportiva e per chi si identifica con i colori della stessa squadra del cuore.
Lo sport ha una grande potenza narrativa: i nostri nonni e bisnonni ricordano dov’erano il pomeriggio del 4 maggio 1949, quando quasi tutti i calciatori del grande Torino morirono nell’incidente aereo di Superga; i più giovani ricordano il 9 luglio 2006, quando la nazionale di calcio di Marcello Lippi si laureò campione del mondo. Perché lo sport regala emozioni e le storie di molti atleti sono esempi di riscatto e coraggio: Jesse Owens, nero e quattro volte oro a Berlino ’36, è stato un simbolo di speranza negli anni bui del nazismo. E sui campi da gioco anche l’impossibile diventa realtà, perché tutti hanno la loro chance: chi avrebbe scommesso sul diciassettenne Boris Becker a Wimbledon 1985? Eppure, vinse lui.