La scienza paragona il cervello a un muscolo: più lo si allena, più cresce. Come ogni altro organo del nostro corpo, infatti, è plastico e soggetto a cambiamenti. Ecco perché, sollecitandolo con gli stimoli giusti -quiz, enigmistica, sudoku, cruciverba, ma anche sport e dieta- lo manterremo in piena forma e renderemo più brillanti le sue performance
Use it or lose it, così dicono americani e inglesi riferendosi a cervello e intelligenza: “meno li usi e più li atrofizzi”. La scienza conferma: il cervello e di conseguenza le facoltà cognitive si mantengono “giovani” ed “efficienti” solo se allenati e stimolati. The more you train, the more you gain, si dice ancora (“Più ti alleni e più ottieni”), ed è vero. I neuroscienziati usano il termine “plasticità cerebrale” per indicare la capacità del cervello di modificare struttura e funzionalità a seconda dell’attività dei neuroni; quest’ultima può essere incrementata da particolari stimoli esterni. La quantità e la qualità di stimoli cambiano il cervello come la quantità e la qualità di cibo che diamo al corpo lo trasformano.
Un tempo si pensava che il livello di intelligenza fosse determinato geneticamente, come la nostra altezza o il colore dei nostri occhi, e che fosse quindi immodificabile. Non è così: alcuni recenti studi hanno mostrato che il quoziente di intelligenza può variare e addirittura migliorare entro certi limiti. Ciò non significa che chiunque possa trasformarsi in un Einstein. Significa, piuttosto, che a seconda delle abitudini di vita, possiamo instupidirci o far brillare al massimo le nostre capacità. In genere, più esercitiamo le nostre funzioni cognitive, dalla memoria all’attenzione, più è probabile che queste si mantengano brillanti ed efficienti. Da questo punto di vista, il cervello assomiglia ai muscoli del nostro corpo: meno li usiamo, più perdono forza, resistenza e flessibilità. Allo stesso modo, dovremmo “allenare” il nostro cervello perché non si offuschino le nostre performance cognitive.
Garantirsi una vita ricca di stimoli culturali in senso lato – teatro, cinema, libri, viaggi – è un buon modo di “allenare” il cervello, mantenendolo attivo e curioso. Non è facile dimostrare quanto una vita ricca di stimoli culturali possa far bene al cervello, ma esistono evidenze indirette che mostrano una minor incidenza delle patologie neuro-degenerative in chi ha svolto una vita vivace dal punto di vista culturale e sociale, segno che quest’ultima protegge le funzioni cognitive dal normale decadimento.
Ma di quali attività e stimoli ha bisogno il cervello? Gli studiosi sono concordi: di tutte quelle attività che si rivelano “novel, challenging and enjoyable”. Novel vuol dire che devono spingerci a imparare cose nuove, challenging che ci devono “sfidare” a raggiungere obiettivi sempre meno facili, enjoyable significa che devono essere divertenti.
Internet ci fa più stupidi?
Il medico americano Gary Small ha sottoposto a scansione elettronica i cervelli di due gruppi di volontari impegnati rispettivamente nella lettura di un libro e in ricerche su Google: le aree cerebrali coinvolte sono diverse. I lettori di libri mostrano un’attivazione di quelle legate al linguaggio, all’elaborazione degli stimoli visivi e alla memoria, mentre gli internauti attivano in più le regioni prefrontali, legate alla decisione e alla risoluzione di problemi. Ciò avviene, ha spiegato Small, perché le pagine digitali sono diverse da quelle stampate: piene di link da valutare, finestre da chiudere, pop up e banner che cercano di catturare l’attenzione, animazioni multimediali che iperstimolano i sensi, le pagine di Internet impongono ai navigatori la capacità di decidere rapidamente dove rivolgere l’attenzione e dove cliccare. La navigazione su Internet richiede una maggiore memoria di lavoro, una migliore coordinazione reciproca delle aree visive e motorie e stimola numerose capacità, tra cui quelle di prendere rapide decisioni e di spostare velocemente l’attenzione visiva da un’immagine all’altra.
I media digitali ci stimolano perciò a sviluppare nuove abilità cognitive e soprattutto una maggiore rapidità di pensiero. È una buona notizia, ma ce n’è anche una cattiva. L’iperstimolazione dei sensi indotta da Internet e dai file multimediali, la rapidità di pensiero che impongono, le numerose potenziali distrazioni offerte dal web sovraccaricano il cervello e gli impediscono di svolgere le attività cognitive che spesso accompagnano la lettura di un libro o di una rivista.
Internet non ci invita ad approfondire, a riflettere con senso critico o con creatività. La neurobiologa inglese Susan Greenfield ha scritto: «L’uso sistematico dei media digitali diminuisce i tempi medi della nostra attenzione e riduce tanto la nostra capacità di concentrazione quanto il pensiero astratto». Come scrive Nicholas Carr, autore del celebre saggio Internet ci rende stupidi?, «quando andiamo on line entriamo in un ambiente che favorisce la lettura rapida, il pensiero affrettato, l’apprendimento superficiale». Perciò, se da un lato usare la Rete o i media digitali può allenare il cervello, dall’altro il pensiero rapido e superficiale cui ci abituano non deve diventare l’unico modo di pensare.
Brain Training: serve o no?
I brain games sono giochi elettronici commercializzati per “allenare” il cervello. Una ricerca condotta da Adrian Owen, neuroscienziato della Cognition and Brain Science Unit dell’Università di Cambridge e pubblicata su Nature, ha dimostrato che allenandosi in questo genere di test si diventa bravissimi, ma non più intelligenti. In altri termini, non si acquisiscono abilità che possano essere estese ad altri ambiti né si migliorano in generale le performance cognitive. Lo conferma anche Sandra Bond Chapman, direttrice del Center for Brain Health dell’Università del Texas a Dallas: «Questi giochi allenano il cervello ma questo allenamento non si estende all’intelligenza generale». Come sottolinea il prestigioso Global Council on Brain Health: «Non ci sono prove sui benefici a lungo termine». Cruciverba, enigmistica, sudoku Per quanto concerne i cruciverba e i giochi di enigmistica, il sudoku e gli scacchi, invece, i ricercatori ritengono che abbiano un effetto allenante sulla “memoria di lavoro” (una memoria a breve termine che gioca un ruolo fondamentale nei processi di apprendimento) e che migliorino le capacità di concentrazione mentale, attenzione e pianificazione, soprattutto nel breve termine (sugli effetti a lungo termine non ci sono prove). Le parole crociate, in particolare, possono essere utili in chi soffre di quei particolari blackout, detti “ce l’ho sulla punta della lingua”; inoltre, uno studio pubblicato su Geriatric Psychiatry e condotto su un gruppo di pensionati sani ha mostrato che chi esegue cruciverba ogni giorno migliora la cosiddetta “fluenza verbale” (capacità di produzione verbale) che può declinare con l’età e con le demenze senili. Infine un’équipe di ricercatori dell’Università inglese di Exeter ha dimostrato di recente che gli appassionati di enigmistica ottengono in genere risultati migliori nei test per la valutazione di attenzione, ragionamento e memoria. La scienza – va però sottolineato – non si spinge così in là da considerare l’enigmistica un elisir di lunga vita cerebrale.
La regola di base
«Il cervello non è in grado di funzionare se il corpo non è in salute», ha detto Rita Levi Montalcini, scienziata morta a 103 anni in brillante forma mentale. Non è un’affermazione banale. Spesso ci si dimentica del fatto che il cervello è un organo del nostro corpo cui è sempre, continuamente connesso. Quindi, la prima indicazione per far funzionare al meglio i neuroni consiste nel preservare il generale stato di salute; possiamo adottare, inoltre, comportamenti e attitudini in grado non solo di rallentare il normale processo di invecchiamento cerebrale ma anche di potenziare le nostre capacità mentali e cognitive.
Più smart con lo sport
Sono finiti i tempi in cui i geni passano per topi di biblioteca fisicamente inetti e gli sportivi per una massa di muscolosi cretini. Dedicarsi regolarmente a uno sport di tipo aerobico (corsa e jogging, bicicletta da corsa e spinning, camminate in salita e nordic walking, nuoto ecc.) fa bene al cervello. Da anni sappiamo che l’esercizio regolare di un’attività di tipo aerobico ha un benefico effetto sul cervello perché migliora l’ossigenazione di tutto il sistema cardiovascolare che è anche il sistema da cui dipende la circolazione sanguigna cerebrale.
Negli ultimi anni, si è giunti a nuove e più clamorose scoperte: molti studi dimostrano che l’attività fisica aerobica esercita anche una funzione protettiva sulle funzioni cognitive. In particolare, alcune ricerche sui modelli animali hanno mostrato con chiarezza i benefici effetti dello sport aerobico sull’ippocampo, la struttura cerebrale responsabile di funzioni complesse come la formazione e il mantenimento delle tracce di memoria. Sono tanti gli studi clinici che dimostrano una correlazione tra fitness fisica e performance cognitiva. Ne citiamo due. La ricerca di un’équipe dell’Università dell’Illinois sotto la guida di Charles Hillman, pubblicata su Nature Reviews Neuroscience, ha dimostrato che l’attività aerobica stimola la neurogenesi, ossia lo sviluppo di nuovi neuroni e di nuove sinapsi in aree definite del cervello, come il giro dentato dell’ippocampo.
Uno studio pubblicato nel 2014 su Comprehensive Physiology, basato sui risultati ottenuti con tecniche di neuroimaging (procedure sperimentali per la visualizzazione del cervello in vivo, sia nei dettagli strutturali sia nell’esecuzione di particolari compiti motori e cognitivi) ha dimostrato come l’esercizio fisico migliori le funzioni cognitive, modulando i meccanismi metabolici delle aree cerebrali coinvolte. Ecco perché l’attività aerobica è consigliata per prevenire il morbo di Alzheimer e altre patologie neurodegenerative.
12 attività per migliorare il nostro QI
1) Seguire un corso di tai chi, yoga o meditazione
2) Imparare una nuova lingua straniera (quella che ci ha sempre affascinato, ma alla quale non abbiamo mai osato avvicinarci)
3) Seguire un corso di fotografia, di acquerello o qualsiasi attività creativa
4) Cominciare a cantare in coro o in una schola cantorum
5) Iscriversi a un corso di cucina e sperimentare nuove ricette
6) Imparare a suonare un nuovo strumento musicale
7) Darsi al giardinaggio, al golf o al nuoto subacqueo; unirsi a un gruppo di runners o nordic walkers
8) Tornare a studiare o seguire un corso universitario online gratuito su un argomento che ci appassioni
9) Imparare a fare un quilt, a costruire un veliero o a realizzare oggetti manuali complessi
10) Leggere libri e riviste di qualità anziché passare il tempo sui social; andare a teatro, al cinema, ai concerti e alle mostre con gli amici
11) Imparare a usare un nuovo device tecnologico (come un drone, per esempio) o nuovi programmi e nuove funzioni sul pc o sul tablet
12) Fare volontariato
Mangia di meno per ragionare di più
Mangiare poco e in modo equilibrato dal punto di vista nutrizionale fa bene al cervello prima ancora che al corpo. Molte recenti ricerche internazionali hanno evidenziato i benefici effetti sul cervello della cosiddetta caloric restriction (CR), il regime alimentare che consiste in una limitazione delle calorie giornaliere e che non comporta affatto malnutrizione. Oggi gli scienziati sono convinti che un regime alimentare ben bilanciato, con una restrizione del 20-40 per cento delle calorie assunte normalmente, non solo allunghi la vita e abbia benefici effetti sui sistemi cardiovascolare, immunitario ed endocrino, ma stimoli anche la neurogenesi, cioè la produzione di nuovi neuroni, e la plasticità delle sinapsi (le giunzioni tra le terminazioni dei diversi neuroni), soprattutto nell’ippocampo. Nei topi da laboratorio, la CR si traduce in una diminuzione della sensazione di dolore ed è probabile che induca un effetto analogo anche negli esseri umani. La CR ha anche un effetto neuro-protettivo; nei topi utilizzati per gli esperimenti migliora l’apprendimento e la memoria. Una sperimentazione condotta sulle scimmie rhesus dal National Institute of Aging dell’Università del Wisconsin ha dimostrato che i primati trattati con una CR del 30 per cento mostrano un minor tasso di invecchiamento generale e un minore declino del volume cerebrale in alcune aree. Gli studi sugli esseri umani confermano i risultati ottenuti con gli animali: la CR rallenta l’invecchiamento del cervello perché riduce i livelli di stress ossidativo nelle cellule cerebrali, migliora la memoria e ritarda la progressione delle malattie neurodegenerative. Tuttavia, perché sia così e quali meccanismi molecolari siano implicati non è ancora del tutto chiaro.
Impariamo un lingua straniera: meglio se è molto diversa dalla nostra
L’apprendimento di una lingua straniera contribuisce ad aumentare la quantità di materia grigia del giro angolare del lobo parietale sinistro; l’aumento è stato registrato a tutte le età ed è proporzionale alla competenza raggiunta nella lingua. Sono interessanti i risultati di uno studio svedese del 2014 condotto con tecniche di neuro-imaging: i volontari che si sono impegnati per mesi nello studio intensivo di una lingua straniera evidenziano un’espansione dell’ippocampo e di alcune aree della corteccia; l’aumento di volume è stato correlato a migliori prestazioni cognitive (più memoria, più creatività e flessibilità metale). In particolare, gli scienziati ritengono che a potenziare l’intelligenza sia soprattutto lo studio di una lingua molto diversa dalla propria: imparare a pronunciare suoni nuovi, a leggere da destra a sinistra quando si è abituati al contrario o a memorizzare parole che non hanno alcun legame con quelle usate quotidianamente costringono il cervello a uno sforzo che si traduce nella creazione di nuovi neuroni e nuovi collegamenti tra neuroni. Gli studiosi parlano in questo caso di “ricablaggio dei circuiti cerebrali”: il cervello modifica la propria struttura neurale. Un gruppo di ricercatori della Penn State University in Pennsylvania (Usa) ha dimostrato che i cambiamenti indotti dall’apprendimento di una lingua straniera si verificano a tutte le età, anche dopo gli 80 anni, e una ricerca canadese ha confermato che il morbo di Alzheimer e le demenze colpiscono meno chi parla più di due lingue.