Anche se noi lo diamo per scontato e lo trasformiamo addirittura nel nostro rifugio privato, una grossa quota della popolazione del pianeta ne fa a meno: con conseguenze negative sulla salute. Specialmente dei più piccoli
Mentre leggete questo articolo, potreste essere in bagno, seduti su una tazza di ceramica, in un ambiente accogliente e tranquillo. Non è per tutti così: per circa 2 miliardi e mezzo di persone, il 35 per cento della popolazione globale, questo è un sogno. A tanto ammonta infatti, secondo stime della Banca mondiale, il numero di esseri umani che non dispongono di un vero e proprio bagno. Un problema serio: si calcola infatti che la mancanza di bagni pubblici comporti ogni anno una spesa a livello globale di 260 miliardi di dollari, quasi 230 miliardi di euro, dovuta ai costi necessari alla cura delle patologie prodotte dalla scarsa igiene e al tempo che le persone sottraggono al lavoro, e dunque alla produttività, alla ricerca di un wc.
Se però in molte parti del mondo dedicarsi alle proprie funzioni fisiologiche in un bagno pulito è un miraggio, in Occidente il bagno è molto più di questo: è un luogo di cura della persona e un vero protagonista della socialità. È il posto che più di altri rappresenta l’intimità con noi stessi, dice la psicologia. Per questo può diventare un rifugio quando avvertiamo il bisogno di staccare la spina. Non è un caso che nelle famiglie numerose sia l’unico luogo dove non essere disturbati e che negli uffici andarci rappresenti una legittima scusa per allontanarsi da una situazione critica che ci potrebbe coinvolgere.
In fondo, di fronte alla giustificazione del bisogno fisiologico nessuno può opporsi alla nostra assenza.
Non siamo mai soli, neanche lì
Sempre di più oggi abbiamo bisogno di stare soli, soggetti come siamo a continue pressioni sociali: Da un lato i ritmi frenetici non ci consentono momenti per raccogliere le idee, dall’altro le nuove tecnologie ci portano a essere disponibili agli altri in ogni momento, anche a casa nostra. Così l’ultima frontiera della nostra solitudine sembra essere la porta del bagno: una volta scattata la serratura, siamo legittimati a pretendere di non essere disturbati. Alcuni anni fa, però, American Standard, produttore statunitense di sanitari, condusse un’indagine per scoprire che cosa facciamo in bagno. Secondo i risultati, quando stiamo seduti sulla tazza, non siamo mai davvero soli: nell’88 per cento dei casi consultiamo il pc, lo smartphone o il tablet e dare un’occhiata a Facebook sembra tra le attività più gettonate assieme alla lettura delle mail e alle telefonate.
Il luogo della rigenerazione
Il bagno è infatti anche il luogo della rigenerazione fisica, dove ci si ritira per rendersi presentabili al pubblico. Eppure, questo non lo rende esclusivamente privato: La tradizione culturale della società industriale moderna è stata plasmata dall’affermazione della mente sul corpo e sui suoi istinti, considerati indegni di un individuo civilizzato. Per questo la casa borghese si è strutturata in una doppia dimensione: Le zone concesse alla vista degli altri, come il soggiorno, e quelle di “retroscena”, nascoste, dove trovano posto le attività più strettamente legate ai bisogni materiali. Tra queste, la cucina e il bagno. Oggi però le cose stanno cambiando: il corpo stia diventando un elemento fondamentale nel determinare la nostra identità. Oggi la cura di sé non è più innominabile, ma anzi rafforza la nostra immagine di persone capaci di presentarci agli altri in modo socialmente accettabile, cioè ordinati e profumati. Così anche il bagno ha acquisito nuova dignità e visibilità. Questo locale oggi viene mostrato agli ospiti perché non è solo il luogo dei bisogni fisiologici: qui ci si rilassa, si legge, si ascolta musica.Tanto che talvolta non è più nemmeno una stanza intima.
Porta aperta o chiusa?
I sociologi della famiglia hanno riflettuto su questo aspetto, arrivando a individuare le due modalità di relazione: il bagno può essere occupato mantenendo la porta aperta oppure chiudendola. Nel primo caso, diventa uno spazio pubblico di incontro e condivisione: la famiglia o la coppia che segue questa modalità mette in comune tutto, a volte anche le pratiche fisiologiche più intime. Quando la porta è chiusa, invece, il bagno coincide con un momento inviolabile, di cui lo scatto della serratura sancisce l’inizio e la fine. Da che cosa dipende il maggiore o minore pudore? Per il sociologo tedesco Georg Simmel il grado di intimità che siamo disposti a condividere dipende dalla fiducia verso l’altro: L’intimità è possibile quando siamo disposti a svelare agli altri aspetti della percezione che abbiamo di noi stessi. Così siamo tanto più disposti a mostrarci nell’intimità del bagno, nudi o mentre ci prendiamo cura di noi, quanto più confidiamo che il giudizio dell’altro non danneggi la nostra autostima. Anche nelle coppie più solide, tuttavia, questo disvelamento verso l’altro non è mai completo: tutti noi abbiamo bisogno di momenti di assoluta solitudine, protetti dallo sguardo altrui.
Niente bagni, niente scuola: per questo in India le ragazze abbandonano le lezioni
Secondo dati della Banca mondiale, la percentuale di popolazione senza bagni puliti tocca punte preoccupanti in vaste aree del pianeta: quasi il 70% nell’Africa subsahariana, più del 60 nel subcontinente indiano, 34 in Cina e nel Sud-est asiatico. A risentire di più delle conseguenze sono i bambini: secondo dati dell’Unicef, in molti Paesi troppe ragazzine non vanno a scuola per la mancanza di servizi igienici puliti e sicuri, soprattutto durante il ciclo mestruale. Molte sono costrette ad abbandonare gli studi: in India, il 23% delle ragazze lascia la scuola al raggiungimento della pubertà.
Separati per legge
Nei luoghi di lavoro, la presenza di bagni separati per uomini e donne è richiesta dal Testo unico per la sicurezza sul lavoro del 2008. La spiegazione sarebbe legata alla diversa anatomia dei due sessi, tuttavia non c’è una reale esigenza pratica, tanto che nelle abitazioni non ci stupiamo se lo stesso wc è usato sia da maschi sia da femmine. Come spiegò il sociologo canadese Erving Goffman in uno studio del 1977, questa divisione è totalmente culturale, per quanto non priva di implicazioni psicologiche: nei bagni di un’azienda, ad esempio, le gerarchie vengono meno e questo può provocare ansia tra i maschi, che all’orinatoio si possono trovare fianco a fianco con i propri superiori. La dimostrazione l’avevano data l’anno precedente Dennis Middlemist, Eric S. Knowles e Charles F. Matter, delle Università dell’Oklahoma, Ohio e Wisconsin (Usa). Gli studiosi avevano infatti dimostrato come la presenza di altri uomini agli orinatoi induca uno stato d’ansia che si riflette nell’esitazione e cioè nella difficoltà a iniziare a emettere il getto di urina. Un ricercatore si era nascosto in una cabina di un bagno pubblico per spiare con un periscopio l’area degli orinatoi a muro. Effettivamente, a una maggiore vicinanza di altri uomini aumentava la difficoltà a “lasciarsi andare”. Una difficoltà che per alcuni può essere patologica: è la cosiddetta urofobia. Chi ne è affetto vive una sorta di ansia da prestazione, che può impedirgli di urinare in qualsiasi luogo pubblico fino a comprometterne la socialità.