Nelle alghe, in certe spugne, nei coralli, nei ricci e persino nell’acqua ci sono sostanze preziose utili a combattere diverse malattie. Alcune, addirittura, possono servire a costruire organi artificiali
L’acqua del mare occupa il 70 per cento della superficie del nostro pianeta: un “brodo di coltura” che contiene tutti gli elementi chimici conosciuti, moltissime molecole organiche (aminoacidi, vitamine, grassi, enzimi ecc.) e minerali. Perciò mari e oceani sono anche una vastissima riserva di rimedi curativi e di farmaci, che gli scienziati stanno a poco a poco scoprendo. Nonostante a oggi l’80 per cento delle molecole più attive usate in medicina venga da organismi terrestri, soprattutto piante, negli oceani ci sono migliaia di microrganismi ancora da studiare che costituiscono una grande risorsa per il futuro. Inoltre, i test per valutare le sostanze estratte da microrganismi marini sembrano avere 100 volte più successo di quelli su microrganismi terrestri.
Nuovi integratori
Uno studio dai ricercatrici della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, in collaborazione con l’Università di Chieti, dimostra come certe molecole di origine marina chiamate ovotioli, prodotte dai ricci di mare e da microalghe, riducano la formazione delle placche aterosclerotiche, tra cui quelle indotte dal diabete, che causano diverse malattie cardiovascolari. Per lo studio i ricercatori hanno usato come modello le cellule umane endoteliali (che formano l’endotelio, cioè il tessuto che riveste la superficie interna di vasi sanguigni, vasi linfatici e cuore), isolate dalla vena di cordone ombelicale di donne affette da diabete gestazionale e da quello di donne sane. Trattando le cellule con molecole di ovotiolo, si è vista una forte riduzione dei livelli di “radicali liberi dell’ossigeno” (molecole responsabili di processi di infiammazione e di invecchiamento cellulare) e un aumento dei livelli dell’ossido nitrico, una piccola molecola che favorisce il flusso del sangue e la funzionalità del sistema vascolare. Grazie a questi risultati, in futuro gli ovotioli potrebbero essere usati come integratori alimentari per aiutare a prevenire le infiammazioni che favoriscono il diabete, l’infarto e l’ictus.
Quei batteri curano la prostata
Tra le numerose creature che popolano i fondali profondi del mare, ci sono anche dei batteri fotosensibili: abituati a vivere in condizioni di buio fitto, se colpiti dalla luce sono capaci di assorbirla e di convertirla in energia ad alta intensità. Da questi microrganismi gli scienziati hanno estratto una sostanza, la padeliporfina, da cui hanno ricavato un farmaco che cura il tumore alla prostata in fase iniziale. La sostanza può essere iniettata nel sangue del paziente e una fibra ottica viene poi inserita nella prostata inondandola di luce laser rossa. Una volta attivato, il farmaco uccide le cellule tumorali lasciando intatte quelle sane. Nei test condotti in 47 ospedali in diversi Paesi d’Europa su oltre 400 pazienti, il trattamento ha portato alla remissione completa del tumore nella metà dei casi, con effetti collaterali sulla continenza urinaria e sulla capacità sessuale durati appena due mesi. Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet.
Il “tesoro” della stella marina
Mentre faceva ricerche su alcune proteine estratte dalle uova di stella marina, il biologo cellulare francese Laurent Meijer negli anni 90 scoprì la roscovitina, una sostanza che ha un ruolo importante nella regolazione della crescita cellulare. È usata come farmaco sperimentale per curare alcuni tipi di tumori e contro la poliartrite reumatoide, una malattia infiammatoria autoimmune che colpisce le articolazioni. La roscovitina sembra anche stimolare le difese immunitarie di pazienti affetti da fibrosi cistica, una grave malattia genetica che provoca la secrezione di muco denso che ostruisce i polmoni e compromette il funzionamento di altri organi interni.
Spinarolo contro Parkinson
La squalamina, un composto presente nell’intestino di Squalus acanthias, un piccolo squalo chiamato anche spinarolo che vive nei mari temperati come il Mediterraneo, potrebbe diventare la base per un farmaco contro il morbo di Parkinson. È la conclusione di uno studio condotto da un gruppo internazionale del quale fanno parte anche ricercatori del Dipartimento di Scienze biomediche dell’università di Firenze. La squalamina, infatti, interferisce con la proteina α-sinucleina che forma aggregati in specifiche aree del cervello all’origine del morbo di Parkinson. In particolare, i risultati ottenuti nel laboratorio fiorentino spiegano l’azione a livello cellulare della squalamina, che si lega alle membrane lipidiche nel cervello e impedisce il legame di aggregati di α-sinucleina, bloccandone così l’effetto tossico. La squalamina è una molecola nota nel mondo scientifico ed è già stata approvata dalla Food and Drug Administration, l’agenzia statunitense che si occupa di alimenti e farmaci, per la cura della degenerazione maculare, una malattia legata all’invecchiamento che colpisce la macula, cioè la porzione più centrale della retina.
Spugne antitumore al seno
Presenti negli oceani da centinaia di milioni di anni, le spugne sono organismi pluricellulari che hanno corpi ricchi di pori e canali attraverso i quali l’acqua circola: questo flusso costante permette loro di procurarsi il nutrimento e l’ossigeno e di rimuovere i prodotti di scarto del metabolismo. A partire dagli anni 80, molti scienziati cominciarono a interessarsi allo studio delle spugne marine per estrarre da questi organismi sostanze antitumorali. Si tratta di molecole che le spugne usano per difendersi dai loro predatori. La spugna Halichondria okadaï, che vive nelle acque dei mari del Giappone, ha attirato l’attenzione dei ricercatori perché secerne una sostanza, chiamata halicondrina B, che ha un’attività antitumorale. Gli scienziati hanno studiato la molecola in laboratorio e ne hanno ricavato una versione sintetica, l’eribulina, che è diventata un farmaco contro il tumore del seno.
Col corallo si riparano le ossa
Nonostante l’aspetto, il corallo non è una pianta, bensì un animale della classe degli Antozoi, come i polipi. Da tempi immemorabili viene pescato (in particolare quello rosso) e commercializzato per creare gioielli e opere d’arte. Nella tradizione popolare è un antichissimo amuleto. Ma anche la scienza gli attribuisce un valore e diversi studi stanno considerando la possibilità di usarlo per riparare le ossa. Il suo esoscheletro, infatti, sembra avere le caratteristiche adatte allo scopo: poroso, ricco di calcio, compatibile con il nostro tessuto osseo. Ridotto in polvere e combinato con cellule staminali, in alcuni studi sperimentali è già stato iniettato in ossa umane nei casi in cui l’osso non era in grado di rigenerarsi da solo: nel giro di un anno al massimo si è riassorbito per fare spazio a un nuovo osso, senza bisogno di ricorrere al trapianto e quindi eliminando il rischio di rigetto.
Per costruire vasi sanguigni artificiali si studiano le alghe
Per sostituire i piccoli vasi sanguigni difettosi nei pazienti affetti da malattie cardiovascolari, gli scienziati studiano materiali sintetici biocompatibili, sempre più flessibili e malleabili. All’Istituto nazionale per la salute e la ricerca medica (Inserm) di Parigi, un gruppo di bioingegneri si è ispirato alla composizione delle alghe per progettare vasi a base di polisaccaridi (lunghe molecole di carboidrati). I test sono stati condotti con successo per ora solo sui topi, che hanno ricevuto l’impianto del nuovo materiale. Grazie proprio ai polisaccaridi di cui sono costituite, le alghe sono abbastanza forti da sopportare differenze di pressione senza il rischio di intasarsi o di lesionarsi. Trasformati in idrogel, una specie di gelatina dispersa in acqua, i polisaccaridi delle alghe vengono modellati, essiccati e poi idratati per essere collegati ai vasi sanguigni esistenti.
Il clima marino è un rimedio per tutti i mali
Si chiama talassoterapia, dal greco thalassa (mare) e thérapeia (trattamento), quella branca della medicina, legata al termalismo, che cura alcuni disturbi e disfunzioni dell’organismo attraverso l’acqua del mare e il clima marino. Quest’ultimo, dicono gli esperti, fa bene a chi convive con allergie stagionali o con malattie ginecologiche. La talassoterapia, che sfrutta i benefici dell’acqua marina e quindi delle sostanze disciolte in essa, è uno dei tanti trattamenti a cui si può ricorrere per esempio per le malattie della pelle e dell’apparato respiratorio, come asma e sinusiti. Può essere abbinata all’elioterapia (cura con la luce del sole) per il trattamento di artrosi, rachitismo, dolori articolari e per un veloce recupero dopo i traumi delle articolazioni. La praticavano già gli antichi Egizi, che utilizzavano l’acqua di mare per disinfettare le piaghe; Cleopatra se ne serviva per le sue cure di bellezza. Ne apprezzavano i benefici anche Greci e Romani. Sono stati però i francesi, alla fine del Seicento, gli autori dei primi trattati di talassoterapia, raccomandata soprattutto per guarire le malattie della pelle. In Italia pioniere fu il medico Giulio Ceresole, che nel 1910 fondò l’Osservatorio per lo studio della “climatotalassoterapia” a Venezia e venti anni dopo diede alle stampe il primo Trattato italiano di talassoterapia.
FINE