Tremori, tachicardia, sudorazione: sono solo alcuni dei sintomi che chi soffre di fobia dei mezzi pubblici può sperimentare al solo pensiero di salirci. Un esperto ci spiega le origini di questo disturbo e come fare per superarlo
A qualcuno, il solo pensiero di salirvi basta per scatenare tremori, tachicardia, capogiri, sensazione di mancanza d’aria o di svenimento, problemi gastrointestinali e bocca asciutta: sono i sintomi che colpiscono chi soffre della fobia dei mezzi pubblici (tram, autobus, treni e taxi). La fobia è una paura irrazionale molto intensa verso un oggetto, un evento o una situazione. Generalmente, non si ha paura del mezzo in sé, ma delle situazioni che possono verificarsi con esso e su di esso. Spesso infatti, la fobia specifica verso i mezzi è associata ad altri tipi di fobie.
Agorafobia e claustrofobia
Spesso la fobia dei mezzi pubblici non è altro che una forma di agorafobia situazionale legata a ciò che può accadere a bordo. Le persone hanno paura di sentirsi male, di non poter essere soccorse prima della fermata successiva e del relativo imbarazzo davanti agli altri passeggeri. In altri casi si tratta di claustrofobia, cioè della paura irrazionale degli spazi stretti o chiusi dai quali la persona si sente oppressa. Si traduce nei sintomi fisici caratteristici delle fobie e dell’ansia in generale: sudorazione, iperventilazione, nausea, tachicardia, tremori, vertigini. Funziona così: alla base di tutto c’è la paura, dalla quale derivano l’ansia anticipatoria e i relativi sintomi psicofisici. A sua volta, l’ansia può sfociare nell’agorafobia piuttosto che nella claustrofobia. In realtà, si tratta soprattutto di una distinzione terminologica per distinguere chi prova ansia negli spazi aperti piuttosto che in quelli chiusi. A prescindere dal luogo che attiva l’ansia, i meccanismi di base che mette in atto la persona sono pressoché identici. Al contrario della paura, che si attiva dinanzi a un pericolo reale, l’ansia insorge anche davanti a una minaccia soltanto percepita e non condivisa. La fobia può arrivare a livelli altissimi, al punto che la sola immagine mentale dell’oggetto può creare ansia.
Patofobia
Fin qui la fobia dei mezzi pubblici è primaria, cioè specifica dei mezzi e delle situazioni che possono verificarsi su di essi. Esistono tuttavia fobie secondarie che possono manifestarsi sui mezzi e sui taxi, come quelle legate alla componente igienica, al terrore di contrarre malattie della pelle reggendosi ai sostegni o di essere contagiati con il COVID. Si parla allora di patofobia. Nel caso dei sostegni, la persona potrebbe essere in grado di salire sui mezzi pubblici a patto di non toccare nulla o di indossare i guanti. Chi invece teme di contrarre malattie per via aerea probabilmente non salirà affatto.
Siderodromofobia
Ne soffrivano Sigmund Freud e Gioachino Rossini. Il termine deriva dalle parole greche -sideros (ferro), -dromos (corsa) e -phobos, (fobia) e significa letteralmente “fobia delle forme di ferro in corsa”. Designa la fobia specifica di treni, metropolitana, vie ferrate e, in generale, di tutte le forme di ferro in movimento. Sembra che i primi casi di siderodromofobia si siano manifestati attorno alla metà del XIX secolo fra i passeggeri dei treni delle British Railways (le ferrovie britanniche), che avevano subìto numerosi incidenti. Da qui sarebbero state stilate le prime diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress. La fobia dei mezzi pubblici non si è diffusa con gli incidenti. Smettiamo di pensare che se non ci fossero mai stati incidenti ai treni non avremmo mai sviluppato la fobia dei treni, poiché le fobie non hanno una base razionale. La fobia dei mezzi pubblici è nata contestualmente ai primi mezzi pubblici e si è propagata con la loro diffusione.
I rimedi
Ansia e fobie si possono trattare con successo con la psicoterapia. Il trattamento d’elezione sono le terapie brevi che risolvono le ansie e le fobie principali in 3-5 sedute, quasi sempre in meno di 10. La Terapia Breve Strategica si basa sul presente. Il terapeuta va a identificare i comportamenti che il soggetto mette in atto e le sue credenze, ossia gli aspetti che mantengono in vita il problema. Una condotta comune a pressoché tutti i disturbi fobici è l’evitamento, disfunzionale perché non permette di superare il problema e contribuisce a mantenerlo in vita. L’evitamento può partire a livello mentale (nel nostro caso, non pensare ai mezzi pubblici) e tradursi nella realtà (evitare di prenderli). Ma tutte le volte che evito, mi sto dicendo di non essere in grado di affrontare quella situazione e che quella situazione è effettivamente spaventosa e ansiogena. Quindi, l’evitamento conferma la mia paura e mi mantiene nello stato d’ansia. Di fronte all’evitamento, il terapeuta aiuta la persona ad avvicinarsi pian piano a ciò che teme, iniziando dall’immaginazione e dalle foto dei mezzi pubblici (tecnicamente si parla di esposizione).
Per gestire i sintomi si utilizzano tecniche paradossali, che permettono al paziente di confrontarsi con ciò che gli causa ansia per imparare a gestirla. Nel linguaggio tecnico si dice che si aggiunge legna sul fuoco. Un altro errore è infatti quello di cercare di tenere sotto controllo i sintomi dell’ansia (controllare il cuore, respirare con più calma ecc.). «Più si cerca di calmarsi, più ci si agita, poiché la calma dei processi fisiologici non è controllata dalla coscienza, bensì dal sistema nervoso autonomo (SNA). Tentando di controllarla con la coscienza, si mettono i bastoni fra le ruote al SNA. Quindi, a queste persone è necessario insegnare delle tecniche di distrazione, in modo che non intralcino il lavoro di riequilibrio del SNA, oppure delle tecniche paradossali, che portano a provocare ancor di più l’ansia: in n ambiente sicuro e tranquillo, la persona si espone a foto e filmati di mezzi pubblici ed effettua delle visualizzazioni. Si tratta di una tecnica controintuitiva usata nella stragrande maggioranza delle psicoterapie e scientificamente validata che, paradossalmente, porta la persona a calmarsi. Esattamente come, aggiungendo sempre più legna sul fuoco, si finisce per spegnerlo.
Compiti a casa
Per le prime settimane si chiede al paziente di prendersi 30 minuti al giorno di tranquillità in casa, durante i quali immaginare le cose peggiori che possano accadere sui mezzi pubblici. Lo scopo è provocare l’ansia, secondo la tecnica denominata peggiore fantasia. Se la persona svolge bene l’esercizio, alla fine scoprirà di essere ancor più calma, poiché il segreto per vincere la paura è quello di guardarla in faccia», conclude l’esperto. Più la si guarda in faccia, più si riesce a tollerarla. Mettendo in atto l’evitamento, invece, queste persone non si sottopongono alla paura e finiscono per non avere mai un confronto. Ne deriva un senso di calma e fiducia crescente nelle proprie capacità, che consentirà al soggetto un graduale avvicinamento fisico ai mezzi: dal guardarli da vicino, salire e scendere subito, al salire e scendere alla prima fermata, fino a riuscire a viaggiarvi per un intero tragitto.
Dal temere un solo mezzo pubblico si può passare a temerli tutti
L’ansia è come un cancro: può creare “metastasi”. Si può iniziare ad avere paura di un solo mezzo o di una tratta specifica, ma in seguito è possibile che la fobia si diffonda ad altri mezzi.
Si trasmette di genitore in figlio?
Alcuni studi hanno evidenziato una maggior insorgenza delle fobie (compresa quella dei mezzi pubblici) in chi ha alle spalle una storia familiare del disturbo. È stato solo dimostrato che, geneticamente, alcune persone possono essere più predisposte all’ansia. Gioca un ruolo importante la componente ambientale: è più facile sviluppare l’ansia se si convive con un familiare ansioso, in particolare un genitore, da cui si apprendono i modi di reagire a eventi e realtà.
Se la paura deriva da un trauma
Se la paura dei mezzi pubblici origina da un incidente o trauma vissuto su di essi si parla di Disturbo Post- Traumatico da Stress. Esso è distinto in tre tipi di sindromi: Primarie: la persona ha vissuto personalmente l’evento. Secondarie: la persona è stata testimone dell’evento o è parente di una vittima. Terziarie: non colpiscono le vittime ma i soccorritori, anche improvvisati, che le aiutano. In seguito questi soccorritori possono sviluppare sintomi post-traumatici e trasformarsi in vittime.