Oggi postare foto del proprio corpo senza veli o di eventi strettamente privati sembra non creare alcun imbarazzo alla maggior parte degli utenti di Facebook o Instagram. Secondo gli esperti, è la conseguenza del narcisismo diffuso e della difficoltà a comunicare di persona
Concorsi di bellezza digitali in cui le utenti inviano a gruppi di contatti, tramite Instagram o SnapChat, immagini del proprio corpo a cui gli amici danno un punteggio: protagoniste sono ragazzine tra i 12 e i 15 anni. Nata negli Usa, questa moda oggi diffusa anche da noi ci racconta di quanto, specie tra i giovanissimi, i social abbiano contribuito a farci dimenticare il senso del pudore. Ma c’è un’altra forma di spudoratezza tipica del mondo digitale: quella di chi condivide senza imbarazzo frammenti personalissimi della propria vita e dei propri sentimenti. Così annunciare la morte di un proprio caro, con tanto di foto del funerale, sembra ormai normale. Le ragioni sono tante: da un lato un narcisismo diffuso, dall’altro una difficoltà a comunicare a faccia a faccia. Se parlare di temi come la morte è difficile di persona, l’annuncio postato online sembra una soluzione: secondo Louis Manza, psicologo al Lebanon Valley College in Pennsylvania (Usa), «da un punto di vista cognitivo una comunicazione di questo tipo è più facile da affrontare: posti, torni dopo otto ore e leggi tutti i commenti senza preoccuparti di avere una conversazione difficile».
Come i concorrenti dei reality
Inoltre, tutto ciò sembra voler rompere quelle regole che il processo di civilizzazione dell’Ottocento ha via via definito. Il concetto di riservatezza della sfera personale, infatti, nasce solo con la borghesia del XIX secolo. Dopo più di un secolo sembra che le persone tendano a rinunciare al proprio diritto alla privacy allo scopo di riuscire a essere più efficaci sul piano della comunicazione della propria identità». In altre parole esibiscono corpo e vita privata agli estranei seguendo il modello dei concorrenti dei reality show, ai quali vogliono avvicinarsi.
Idealizzare il banale
Ciò riguarda soprattutto i giovanissimi. Un 5 per cento della popolazione sopra i vent’anni ha un rapporto insano e pericoloso con i social. Secondo molti autori, questa tendenza si inserisce in una progressiva perdita del senso della vergogna. Ad esempio, questo è contestuale a un altro singolare fenomeno: l’idealizzazione del banale e dell’insigni ficante. Lo sguardo ammirato di molti non si rivolge più a persone di notevole rilievo morale o intellettuale, bensì a uomini e donne modesti, anonimi. Come, appunto, i concorrenti dei reality.
I selfie in palestra, arma a doppio taglio
Molti studi hanno dimostrato che le persone più apprezzate online non sono quelle che condividono ogni attimo della loro intimità. Tutt’altro! Ottengono più like post o immagini che generano emozioni o un valore in chi li vede. Il problema è quando, come accade troppo spesso, viene superato il limite di un pudore sano. Così ad esempio i selfie fatti in palestra, che secondo chi li fa sono solo un modo per raccontare la propria giornata, sono in realtà uno strumento per vantarsi di un corpo statuario. Questo però alla lunga infastidisce gli altri, che ne colgono la finalità narcisistica. Negli Usa questo fenomeno è stato battezzato humblebrag: in pratica ci si vanta di qualcosa, nascondendo però l’autocelebrazione dietro ad altre finalità fasulle. Purtroppo questo genera confronti. Gli utenti che usano maggiormente Facebook, tendono a considerare i propri amici come più felici e più fortunati di loro, ma ciò può portare allo sviluppo di sintomi depressivi.