Ce lo chiediamo da secoli e le risposte sono svariate: secondo alcuni non è mai esistito, per altri era addirittura una donna. Invece, il genio che scrisse Iliade e Odissea deve essere vissuto, eccome. Meno di 3000 anni fa
Pilastri della tradizione scritta dell’Occidente, i poemi omerici, Iliade e Odissea, non hanno ispirato solo altri capolavori della letteratura universale come l’Eneide di Virgilio e la Commedia di Dante Alighieri, ma anche decine di poeti e narratori. Si è aperta però, fin dall’antichità, la discussione sul loro autore. Nessuno metteva in dubbio l’esistenza di un poeta in carne e ossa che li avesse scritti, ma veniva notata la consistente differenza tra l’uno e l’altro nei contenuti sociali e politici, oltre che in termini stilistici e di impostazione narrativa. È sempre sembrato che ci fosse notevole distanza fra il mondo dell’Iliade e quello dell’Odissea, al punto che si è ipotizzato che l’autore avesse composto il primo poema da giovane e il secondo da vecchio.
Se ne sono perse le tracce
Di Omero non sappiamo quasi niente. In un certo senso, è solo un nome o poco più. Non si sa dove sia nato, quando sia morto, se abbia scritto tutti e due i poemi o soltanto uno, se fosse cieco. La scoperta di Parry e Lord negli anni 30, secondo la quale Iliade e Odissea erano in realtà poemi orali messi per iscritto molto tempo dopo i fatti che narravano, complicò ulteriormente il dibattito sull’esistenza e l’identità di Omero. Qualcuno sostenne che non fosse mai esistito e i due poemi fossero il risultato di numerosi contributi dati da centinaia di cantori di corte e di strada chiamati aedi e rapsodi. Nei personaggi di Femio e Demodoco, che si trovano nell’Odissea, si riconobbe Omero ed essendo Demodoco cieco si pensò che lo fosse anche lui. Qualcuno arrivò a ipotizzare che fosse una donna.
Visse quasi 3000 anni fa
Si sa che la prima versione completa dei poemi omerici sarebbe stata voluta da Pisistrato, tiranno di Atene nel VI secolo a.C., e che poi sarebbe stata redatta in forma definitiva dai filologi della Grande Biblioteca di Alessandria in età ellenistica. Questo, assieme a molti altri problemi formali e sostanziali costituiscono un enorme corpus critico e storico-letterario che chiamiamo questione omerica: una specie di cantiere investigativo eternamente aperto, nel quale, per ora, non si accenna ad arrivare alla conclusione definitiva dei lavori. Su alcuni punti, però, ci si potrebbe considerare ormai relativamente vicini a una possibile verità: per esempio, i fatti narrati nei poemi non sono contemporanei al loro autore (che visse tra il IX e l’VIII secolo a.C.), ma si riferiscono a eventi dell’ultima Età del bronzo e cioè approssimativamente verso la metà del XII secolo a.C. In questi quattro secoli di divario, le storie della guerra troiana avrebbero costituito un abbondante materiale narrativo sul quale i poeti orali imbastivano di volta in volta composizioni in versi realizzate all’impronto e di lunghezza variabile. La loro trascrizione non sarebbe avvenuta all’età di Pisistrato, ma prima, intorno all’VIII secolo, quando si diffuse la scrittura e le migrazioni dei greci verso l’Occidente avrebbero reso necessario per i coloni il portarsi al seguito una versione stabilizzata sulla pagina scritta almeno dei due poemi principali: l’Iliade e l’Odissea. In essi era il compendio di gran parte della loro cultura e la summa dei loro modelli di comportamento.
Clamorose gaffe
La stratificazione presente nell’Iliade è abbastanza evidente. Per esempio: fra l’elmo di Merione fatto di denti di cinghiale forati e legati insieme a formare un casco e gli elmi crestati di certe scene di battaglia ci sono diversi secoli. Il primo infatti è miceneo, mentre gli altri sono tipici dell’età del ferro. Lo stesso dicasi per lo scudo di Aiace Telamonio e quello di Achille: il primo è ancora uno scudo miceneo come quelli dipinti sugli intonaci dei palazzi di Tirinto e di Micene, l’altro è uno scudo sbalzato in lamina tipico dello stile orientalizzante (VIII secolo a.C.). Il carro da guerra, oggetto di età micenea, è rappresentato da Omero come connotato antiquario, ma gli è attribuita la funzione sbagliata di trasporto anziché di massa d’urto da lanciare nella mischia, come invece era in realtà.
Perfettamente riconoscibile
La casualità delle stratificazioni può essere accettata fino a un certo punto. L’Iliade ha una connotazione narrativa e uno stile talmente potente che non può essere attribuita al caso. Ancora di più questo è valido se parliamo dell’Odissea. La storia dell’eroe di Itaca è complessa e ben congegnata in un plot modernissimo dove si fa uso di espedienti narrativi sofisticati come “ash back, suspence, horror, mistero, magia, sesso e persino di un finale aperto. Non può che essere opera di un uomo solo, d’ingegno incredibilmente potente. Si potrebbe quindi pensare che Omero fosse l’uomo che per primo mise per iscritto i poemi che da lui prendono il nome, fondati sul corpus del ciclo troiano ma originali nello stile e nella composizione. Se quindi Omero è l’autore dell’Iliade, è difficile pensare che il gigante che scrisse l’Odissea non abbia nemmeno un nome e sia privo di qualunque connotazione, se non quella di discepolo o addirittura di figlio del poeta, ipotesi per giunta avanzata su nessuna base plausibile. Le differenze fra i due poemi si potrebbero forse spiegare con i diversi itinerari seguiti dalla tradizione orale: nel primo caso in un surreale campo di interminabili battaglie, nel secondo sullo sfondo di uno sterminato orizzonte di avventure di mare e di terra. Ambedue, per le loro componenti tipiche della tradizione orale, avrebbero mantenute le loro differenze di forma e contenuto che le dovevano rendere immediatamente riconoscibili all’uditorio.