Tutti pazzi per i draghi da quando abbiamo conosciuto i mostri sputafuoco del Trono di Spade. Secondo gli esperti, sono il simbolo del nostro lato oscuro: di ciò che da una parte dobbiamo controllare, ma dall’altra desideriamo scatenare
Oggi i draghi abitano il nostro immaginario e, a giudicare dalla loro diffusione, lo fanno con gran successo: ci piacciono e ci piace aver paura di loro. Questi terrificanti animali alati e sputafuoco, ricoperti di squame e scaglie, campeggiano nelle serie televisive di gran successo, da Il Trono di Spade a Merlin, popolano le più celebri saghe di fantasy, dai capolavori dello scrittore inglese J.R.R. Tolkien ai romanzi della serie Harry Potter, e sono i protagonisti di moltissimi giochi, dallo storico Dungeons & Dragons, il papà dei giochi di ruolo creato negli Anni 70, sino ai videogiochi attuali, come Skyrim, Monster Hunter, Divinity: Dragon Commander, Drakengard, Dragon’s Dogma.
Pochi sanno però che questi animali leggendari sono presenti nell’immaginario collettivo di moltissime culture, tanto in Occidente quanto in Oriente, e sin dai tempi più antichi. Perché ci affascinano così tanto e da così tanto tempo? Le prime leggende nascono nell’antica Mesopotamia e narrano di temibili mostri alati, neri come la notte o blu profondo come gli abissi.
Nel mondo greco-romano assumono molte forme diverse: sono mostri alati come quelli aggiogati al carro della dea greca Demetra, mostri che abitano le profondità marine come Scilla, giganteschi serpenti privi di ali come l’Idra di Lerna, il mostro a nove teste, dal fiato e sangue velenosi, domato da Eracle (Ercole).
Nell’ottavo libro della sua Naturalis Historia, lo scrittore romano Plinio il Vecchio descrive i draghi come se li avesse visti di persona: questi animali mostruosi si cibano di elefanti che catturano avvolgendoli con la propria coda e poi soffocano; li mangiano a partire dagli occhi, per questo in Africa è facile scorgerne molti ciechi.
Sconfitti dai santi
Anche la Bibbia è abitata dai draghi. L’Antico Testamento ci spaventa raccontandoci del Leviatano, un terribile mostro marino dalla leggendaria forza, emblema del caos primordiale, mentre nell’Apocalisse di Giovanni (Nuovo Testamento) l’arcangelo Michele combatte contro un enorme drago rosso a sette teste e dieci corna.
Dal mondo antico, i draghi passano a popolare i bestiari medievali e soprattutto le leggende cristiane. Moltissimi santi sono rappresentati come sauroctoni, cioè uccisori di draghi: Santa Marta sconfigge Tarasco, un drago dotato di corazza e aculei, sei zampe e lunga coda a squame; San Marcello libera Parigi da un temibile drago, san Romano libera Rouen e San Silvestro Roma. Infine, tutti conosciamo la leggenda di San Giorgio, che nasce al tempo delle prime Crociate e ci viene raccontata dal genovese Jacopo da Varagine nella Legenda Aurea (XIII secolo): il cavaliere Giorgio, guidato dalla fede, affronta il drago dello stagno di Selem, in Libia, e lo vince, salvando la vita alla principessa Silene e a tutta la popolazione.
Anche nelle saghe nordiche, nate tra le fredde brume dell’Europa settentrionale, c’è sempre un drago: nell’antico poema epico anglosassone Beowulf, giganteggia il mostro mangiauomini Grendel, mentre ne I Nibelunghi, poema epico scritto in alto tedesco, il terribile Fafnir è il drago che custodisce l’Anello dei Nibelunghi e che viene ucciso da Sigfrido.
Creatura ambivalente
Passano i millenni, ma il drago resiste: perché? Molte leggende cristiane ne fanno l’incarnazione del diavolo e dunque un emblema del male; tuttavia, questo animale fantastico e mostruoso non rappresenta tanto la consapevole malvagità del demonio, quanto piuttosto la cieca forza brutale della natura che l’uomo, deve domare, ordinare, razionalizzare. L’uccisore del drago non è solo l’eroe che vince il male nel segno del bene, cioè di Dio, ma è anche il vincitore del caos che sa soggiogare la potenza oscura e distruttrice della natura. Prevalere sul drago significa governare quella incontrollata forza che fa parte di noi stessi.
La lotta contro questa creatura malefica è dunque contro il lato oscuro della forza che si cela non solo fuori, ma anche dentro ognuno di noi: è la lotta contro le oscurità della nostra anima. Proprio perché dotato di forze prodigiose e poteri eccezionali, il drago assume un valore ambiguo, racconta Patrick Absalon, storico dell’arte francese ed esperto di miti: «Come l’uomo, il drago è una creatura ambivalente, un mostro a doppia faccia che cristallizza le nostre paure e nel contempo incarna i nostri desideri e le nostre aspirazioni segrete».
Chi non vorrebbe cavalcare un drago sputafuoco? Chi non desidererebbe averlo al proprio servizio, come Daenerys Targaryen, “la madre dei draghi” de Il Trono di Spade? Nessuno meglio dello scrittore J.R.R. Tolkien, autore della saga de Il Signore degli Anelli, è riuscito a esprimere la mescolanza di paura e desiderio che l’uomo nutre per queste creature: «Desidero i draghi con un desiderio profondo. Poiché ho un corpo timido non desidero averli come vicini, ma il mondo che conteneva anche solo l’idea del drago Fafnir era più ricco e più bello del nostro, qualunque fosse il prezzo del pericolo». Nel nostri sogni più belli, strano a dirsi, ci sarà sempre un terrificante drago sputafuoco.