L’inquinamento atmosferico miete milioni di vittime e colpisce ogni organo del corpo
Il 3 dicembre 1930, nella valle del fiume Mosa, in Belgio, gli ospedali furono subissati da chiamate di persone colte da sintomi gravi e improvvisi: non riuscivano a respirare, avevano tosse, mal di gola, dolori al petto, vomito. Nell’arco di ventiquattro ore, in sessanta morirono.
Come si capì in seguito, in quell’inizio di inverno, l’assenza di vento e l’inversione termica, che favorisce la nebbia e il ristagno dell’umidità, aveva contribuito a intrappolare vicino al suolo, a portata di naso e polmoni, i fumi venefici delle fabbriche della zona, all’epoca una delle più industrializzate d’Europa. Una storia quasi identica si verificò nel 1948 a Donora (Usa), sede di acciaierie e fabbriche di zinco, dove morirono una ventina di persone, e alcune migliaia si sentirono male. E poi ancora nel 1952 a Londra, dove le vittime del Grande Smog, che colpì la città tra il 5 e il 9 dicembre, si stima siano state diverse migliaia.
KILLER MICROSCOPICI
Fu subito chiaro, in quegli anni, che responsabile di quelle nebbie mortali era l’inquinamento. Oggi il killer è meno visibile, non sempre si nasconde nella nebbia, ma continua a mietere un numero impressionante di vittime. Soprattutto, non colpisce solo dove ci si aspetterebbe (i polmoni), ma danneggia il corpo e la salute in modi del tutto inaspettati.
Non si tratta, come a volte si pensa, di una semplice anticipazione di eventi che ci sarebbero comunque stati. Sono morti che, se non ci fosse stato l’inquinamento, sarebbero state evitate. Un po’ come è accaduto per i danni del fumo, dai primi sospetti si sta ora disegnando un quadro molto più dettagliato delle conseguenze sulla salute dello smog.
Se alcuni decenni fa molti degli effetti acuti dell’inquinamento erano dovuti a sostanze come piombo e zolfo presenti nei combustibili fossili, i cui livelli si sono molto abbassati, oggi al centro dell’attenzione ci sono le polveri sottili: la “parte solida” e liquida dell’inquinamento, particelle rilasciate nell’aria da qualsiasi sostanza che brucia, o da processi meccanici come l’attrito degli pneumatici sulla strada o l’usura dei freni. Hanno dimensioni variabili da pochi nanometri (miliardesimi di metro) a diversi micrometri (milionesimi di metro). Come ordine di grandezza, è la differenza tra una biglia e una mongolfiera.
Alle particelle frutto diretto della combustione si aggiungono quelle che si formano poi nell’atmosfera a partire da altre sostanze, per esempio gli ossidi di azoto e i composti organici volatili emessi dai veicoli, o l’ammoniaca prodotta dall’agricoltura. Più sono piccole, più penetrano in profondità nel sistema respiratorio, passando dai polmoni alla circolazione sanguigna e di qui a tutti i tessuti del corpo. Le cosiddette PM 2,5, con un diametro fino a 2,5 micron (ce ne vorrebbero 60 per fare il diametro di un capello), sono quelle ritenute più dannose.
ATTACCO AL CUORE…
Lo smog ha un effetto immediato sulla salute: asma nei bambini o broncopneumopatia ostruttiva negli anziani, quella che una volta si chiamava “bronchite cronica”. Entrambe peggiorano nei giorni di picco dell’inquinamento. Verrebbe da pensare che bronchi e polmoni siano gli organi più colpiti dall’aria cattiva. In realtà danni altrettanto gravi riguardano cuore e sistema cardiovascolare. Quando i livelli delle polveri salgono si registra un aumento di accessi al pronto soccorso per ictus e infarti.
I problemi però non sono limitati soltanto a quei momenti, ma sono anche a lungo termine. Il progetto ESCAPE, che ha studiato gli effetti dell’inquinamento su migliaia di cittadini in Europa, ha individuato un aumento del rischio per quasi tutti i disturbi cardiovascolari – infarto, ictus, ipertensione – per le persone che vivono nelle zone più esposte allo smog.
L’inquinamento aumenta anche il rischio di disturbi come lo scompenso cardiaco o la fibrillazione atriale, a loro volta all’origine di altri danni. Una lunga catena di effetti anche dove sembrerebbe più impensabile. Le ultime ricerche sembrano inoltre confermare il sospetto che lo smog abbia un ruolo anche nelle malattie renali. In questo caso l’ipotesi è che i danni vascolari e l’aterosclerosi indotti dall’inquinamento, alla lunga, abbiano conseguenze sulla funzionalità dell’organo.
… E POI AL CERVELLO
Che respirare costantemente aria cattiva aumenti il rischio di cancro al polmone è invece accertato, ma ci sono indizi che lo stesso valga anche per tumori che niente hanno a che fare col sistema respiratorio. Per esempio quelli alla mammella e allo stomaco. Nel primo caso non si sa come l’inquinamento possa agire; nel secondo si pensa che sia legato all’ingestione del particolato.
Altro capitolo scottante, emerso di recente, sono le possibili conseguenze su cervello e sistema nervoso: l’inquinamento è stato messo in relazione perfino con le demenze e con il morbo di Alzheimer. Qui però è necessaria una certa cautela. Ci sono tanti tipi di demenze. Le probabilità che l’inquinamento, inducendo l’aterosclerosi, sia associato alla demenza di tipo vascolare, la più comune, sono alte.
Nel caso del morbo di Alzheimer il discorso è più controverso. All’inizio degli anni Duemila, a Città del Messico, la neuroscienziata Lilian Calderón-Garcidueñas notò che i cani che vivevano nelle aree più inquinate della capitale, da vecchi, sembravano confusi, perdevano la capacità di orientarsi e a volte di riconoscere i padroni. Facendo l’autopsia agli animali, la scienziata notò che nel loro cervello c’erano depositi di proteina beta amiloide, che è stata associata al morbo di Alzheimer, più consistenti rispetto ai cani di città “più pulite”. Da lì nacque il sospetto che la qualità dell’aria potesse svolgere un ruolo anche in questa malattia neurodegenerativa. In realtà, gli studi non lo hanno finora dimostrato in maniera definitiva. Lo stesso vale nel caso del morbo di Parkinson.
Più allarmante è la questione della salute dei bambini. Si sa che l’inquinamento compromette lo sviluppo polmonare. E, già da tempo, molte indagini hanno associato l’esposizione all’inquinamento delle mamme in gravidanza con la nascita di bambini di peso più basso, o prima del termine. Ma non si tratta soltanto della salute fisica. Jordi Sunyer, un autorevole epidemiologo spagnolo, sostiene anche che l’inquinamento sta mettendo in una chiara posizione di svantaggio il cervello e lo sviluppo cognitivo delle nuove generazioni. Le conferme non mancano: a New York, i bambini che vivono a meno di cinquecento metri da un’autostrada ottengono punteggi più bassi nei test che misurano lo sviluppo del linguaggio. Risultati simili, con difficoltà di vario genere, sono emersi seguendo nel tempo i bambini nati da mamme che vivevano nei quartieri newyorkesi più poveri e inquinati.
Stesso dato è emerso a Roma: in un gruppo di bambini seguiti dalla nascita fino ai sette anni, quelli che abitavano a un indirizzo con livelli più alti di inquinamento da traffico stradale erano più indietro nello sviluppo verbale.
L’inquinamento sembra avere addirittura un effetto immediato sulle lezioni a scuola. Il gruppo di Sunyer ha osservato che all’aumentare dell’esposizione alle polveri sottili durante la giornata cala l’attenzione dei bambini. Meno attenzione in classe significa ritardo nell’apprendimento. Per questo Paesi come la Danimarca hanno vietato la costruzione di nuove scuole nelle zone dove il traffico è più intenso. Ma ci sono altre cose che potrebbero essere fatte. Per esempio, impedire alle macchine di avvicinarsi troppo alle scuole. Il che significherebbe non permettere che i genitori arrivino, magari con il Suv, fin quasi alla soglia dell’edificio per accompagnare i figli. Chissà se, nell’interesse della salute della prole, qualcuno si convincerà a parcheggiare a distanza.