Bionda, sofisticata e poliglotta, Louise de Bettignies era una ragazza francese che durante la Grande Guerra non si limitò a fare attività di intelligence in prima persona, ma creò una rete di spie al servizio dell’Inghilterra che si rivelò cruciale. Finì male ma ispirò altre donne che negli anni successivi la presero a modello
Louise Marie Jeanne Henriette de Bettignies è un personaggio poco conosciuto da noi, ma degno di un romanzo, come dimostra quello, vendutissimo negli Stati Uniti e uscito anche in Italia, intitolato Fiori dalla cenere: passata alla storia come spia, per la sua disinvoltura ricorda Mata Hari, mentre per la fedeltà alla causa la “collega” italiana Luisa Zeni. Ma Louise fece addirittura di più: mise in piedi nei territori francesi occupati dai tedeschi la rete di spionaggio più efficiente della Grande Guerra.
In patria l’hanno paragonata a Giovanna d’Arco, in virtù del suo patriottismo e del coraggio dimostrati fino all’estremo sacrificio e l’hanno celebrata con statue e film tra i due conflitti mondiali.
All’apparenza fragile Louise de Bettignies nacque nel 1880 nel nord della Francia da una nobile famiglia cattolica di origine belga, le cui prime tracce risalgono al XIII secolo. Il suo bisnonno aveva fondato una fabbrica di ceramiche che annoverava tra i suoi clienti addirittura la famiglia reale. Pochi giorni prima della nascita di Louise, settima di nove figli, i genitori si erano trovati in gravi difficoltà finanziarie e avevano dovuto cedere la proprietà della fabbrica; riuscirono comunque a darle un’istruzione secondaria, a Valenciennes, in un istituto religioso.
Chi conobbe Louise da giovane la descrisse bionda, con occhi mobili e penetranti, fragile nell’aspetto ma con un carattere forte e dotata di grande intelligenza. Nel 1898 proseguì gli studi superiori in Inghilterra e dopo la morte del padre, avvenuta nel 1903, tornò a Lille, dove si laureò alla facoltà di lettere. Facendo leva sulla sua perfetta padronanza della lingua inglese e sulla buona conoscenza del tedesco e dell’italiano, dopo aver terminato gli studi Louise de Bettignies cominciò a girare l’Europa, lavorando come istitutrice in alcune delle più importanti famiglie del Vecchio Continente.
Nel 1906 si recò in Italia, a Milano, dove fu ospite dell’imprenditore Giuseppe Visconti di Modrone. In seguito si spostò in Galizia, in Boemia e in Moravia, dimorando nei castelli di conti e principi. Le fu anche offerto di fare da precettrice nientemeno che ai figli di Francesco Ferdinando d’Asburgo, l’erede al trono d’Austria. Louise però declinò l’offerta per patriottismo: per farlo, avrebbe dovuto prendere la nazionalità austriaca. Preferì allora tornare in Francia, giusto in tempo per apprendere la notizia che l’arciduca Francesco Ferdinando era stato assassinato a Sarajevo, accendendo la miccia che avrebbe fatto scoppiare la Grande Guerra.
Louise andò a vivere dalla sorella Germaine a Lille, città al confine con il Belgio, ben presto esposta alla minaccia di un’occupazione tedesca. Dichiarata “città aperta”, Lille andò riempiendosi di rifugiati; in seguito passò più volte dal controllo militare francese a quello tedesco e viceversa.
Reclutata dagli inglesi
Fu in questo periodo che Louise fu reclutata dal capitano britannico Cecil Aylmer Cameron, responsabile delle operazioni di spionaggio, e addestrata a Dover, nel sud dell’Inghilterra. Nell’ottobre 1914, la strenua difesa di Lille portò alla distruzione di più di 2.200 edifici. Attraverso le rovine Louise, allora 24enne, rifornì i soldati di munizioni e di cibo, mentre negli ospedali scriveva lettere in tedesco dettate ai familiari dai soldati nemici ricoverati.
Quando la città cadde definitivamente sotto i tedeschi, Louise capì che per aiutare il suo Paese doveva intraprendere una rischiosa resistenza.
Così l’ex istitutrice assunse il nome in codice di Alice Dubois e si mise a disposizione dei servizi segreti di Sua Maestà, creando nel tempo una vera e propria rete, la “rete di Alice” formata da un centinaio fra informatori, falsari e corrieri sparsi in un’area di 40 chilometri a ovest e a est di Lille, lungo il fronte tenuto dall’esercito inglese.
Uno dei suoi compiti era osservare e riferire i movimenti del nemico. Dalla casa in rue d’Isly, tali informazioni passavano attraverso il Belgio occupato fino ai neutrali Paesi Bassi, dove si trovava il collegamento con i servizi britannici.
La rete si dimostrò tanto affidabile e tempestiva che Oltremanica ne tessero le lodi: «I servizi resi da Louise de Bettignies hanno un valore inestimabile. È la regina delle spie, una vera e propria Giovanna d’Arco moderna. Se le succedesse qualcosa, sarebbe una calamità», riferirono gli alti Comandi dell’esercito e dell’intelligence britannici.
Salvò oltre 1.000 soldati
Nei nove mesi in cui Louise fu pienamente operativa, dal gennaio al settembre del 1915, si stima che la rete di Alice abbia tratto in salvo più di mille soldati britannici dai territori occupati, rimpatriandoli in Inghilterra. Riuscì inoltre a far pervenire a Londra una mappa delle postazioni nemiche nella regione intorno a Lille.
L’efficacia della rete di spionaggio non mancò di impressionare anche i tedeschi, per l’estrema precisione delle informazioni raccolte a loro danno in quell’area, che risultò la più vulnerabile lungo gli oltre 700 chilometri del fronte occidentale. Le spie al servizio della Bettignies, ad esempio, erano in grado di segnalare le posizioni dell’artiglieria nemica così da farle bombardare. Una delle batterie tedesche, che era stata perfino mimetizzata, fu colpita dall’aviazione inglese dopo soli otto giorni dalla sua sistemazione.
La rete arrivò a scoprire un obiettivo ancora più importante, come la visita al fronte del Kaiser Guglielmo II in persona, teoricamente coperta dal segreto assoluto. La data e perfino l’ora del passaggio del treno imperiale a Lille non restarono un mistero per le spie della Bettignies: grazie a queste informazioni, due aerei britannici bombardarono il convoglio, ma lo mancarono. Un altro messaggio chiave riguardava la preparazione di un massiccio attacco che l’esercito tedesco si accingeva a sferrare a Verdun: si trattava della grande offensiva tedesca che si sarebbe trascinata per quasi tutto il 1916, con centinaia di migliaia di perdite da ambo le parti. Tuttavia, quando fu trasmessa al Comando francese, tale informazione non fu ritenuta fondata.
Messaggi cifrati sotto le torte
A capo di questo formidabile sistema di intelligence c’era lei, la bella Louise, che si spostava continuamente tra la Francia occupata e quella libera, il Belgio e i Paesi Bassi. Louise/Alice raccoglieva informazioni, consegnava rapporti, verificava lo stato dei suoi agenti. Per non farsi arrestare, nascondeva i messaggi cifrati o scritti con il succo di limone negli anelli o intorno alle forcine dei capelli, sotto torte o tra le pagine di riviste, o ancora sotto la sottoveste. Varcava il confine nemico incurante delle sentinelle armate e dei corpi dilaniati dalle mine. Come ogni professionista del doppiogioco, aveva una straordinaria capacità d’improvvisazione: superava i controlli ricorrendo a trucchi come far cadere pacchetti di continuo finché le guardie, esasperate, la facevano passare. «I tedeschi sono troppo stupidi. Gli puoi mettere sotto il naso qualsiasi foglio, e se ti dimostri sicura di te ti fanno passare comunque», ebbe a dire. E quando un generale tedesco la riconobbe, ricordando di aver giocato a scacchi con lei ai tempi in cui faceva l’istitutrice, lei mantenne il sangue freddo e riuscì persino a farsi dare un passaggio in auto. Era un gioco pericolosissimo, condotto sempre sul filo della morte. Al primo errore, non sarebbe seguita una prova d’appello. Louise ne era consapevole, ma proseguì la sua missione fino a quando non fu scoperta.
L’arrestarono in un caffè
Accadde il 20 ottobre 1915, in un caffè vicino a Tournai, in Belgio. I tedeschi la arrestarono in un controllo assieme a un’altra giovane, che le aveva prestato il suo salvacondotto. Le due donne furono spogliate e perquisite. La sorte peggiore toccò a Louise, che pure ingoiò un messaggio in codice e poi chiese candidamente un bicchiere di brandy. I diversi documenti d’identità che le furono trovati addosso non lasciavano dubbi sul suo ruolo. Processata a Bruxelles, si vide condannare a morte, pena poi commutata nei lavori forzati a vita. Non confessò mai. «Ho contemplato la morte con calma e senza timore; oggi aggiungo un sentimento di gioia e di orgoglio per non avere denunciato nessuno», scrisse in una lettera miracolosamente pervenutaci.
Un modello da imitare
Louise de Bettignies trascorse in prigionia quasi tre anni a Siegburg, vicino Bonn. Anni durissimi, di fatiche e di abusi, che non la piegarono: è attestato che incitò le altre detenute a scioperare per non contribuire alla produzione bellica per il nemico. Poi si ammalò: un ascesso polmonare mal curato all’ospedale di Colonia la condusse alla morte, a 38 anni, il 27 settembre 1918. Dopo la guerra, il suo corpo fu rimpatriato e alle esequie a Lille le furono assegnate postume onorificenze francesi e britanniche, fra cui la Croce della Legione d’Onore. La sua eredità fu raccolta vent’anni dopo, durante l’occupazione nazista.
Un’altra guerra, altre violenze: a contrastarle, altre donne che, ispirate dal coraggio e dalla risolutezza di Louise, entrarono nelle file della resistenza.