Avete presente quelle tre stelline in fila che spiccano inconfondibili nel cielo invernale proprio al centro della volta celeste? Sono gli astri che formano la Cintura di Orione, poco sotto i quali è visibile anche a occhio nudo una lucente macchia rosata. Situata a 1.300 anni luce di distanza dalla Terra, quella macchia è la più grande, la più nota e la più brillante delle nebulose. Ormai lo studio di questo straordinario oggetto celeste si e arricchito con una nuova, spettacolare immagine nel Cile settentrionale: un mosaico di riprese ad alta risoluzione che consente di identificare tutta una serie di oggetti finora nascosti al suo interno. Una così ampia scansione “a tappeto” di quella zona del cielo è stata necessaria perché Orione, che è la nebulosa più vicina a noi – anche se dista ben 1.500 anni luce – con suoi 30 anni luce di estensione è troppo grande per poter essere catturata dai telescopi con una sola ripresa.
Tra veli di polvere
La decisione di studiare questo straordinario oggetto è da attribuire a una sua caratteristica davvero unica: la presenza nella sua parte centrale di grandi stelle che, con i loro potenti “venti solari”, soffiano via i fitti veli di materia che solitamente avvolgono le altre nebulose, offrendo alla vista le piccole stelle nascenti. La nuova immagine è di una nitidezza e di una bellezza incredibili: investiti dalle radiazioni ultraviolette degli astri maggiori, gas e polveri, fortemente ionizzati, sembrano intessere un complesso arazzo dai colori ora violenti ora delicatamente sfumati. E qui, incastonate nei varchi lasciati da archi iridescenti, tortuose colonne e bolle vaporose, brillano come pietre preziose oltre tremila giovani stelle. Alcune, le meno numerose, sono da trenta a quaranta volte più grandi del nostro Sole, altre invece hanno una massa da un decimo a un centesimo soltanto rispetto a quella del nostro astro. Queste ultime sono nane brune, oggetti ancora per molti versi misteriosi. Devono il nome alle loro modeste dimensioni e al colore rosso scuro e possono essere considerate delle stelle “mancate”. Sono strani ibridi incapaci di raggiungere una massa sufficiente per innescare il processo di fusione nucleare che le farebbe accendere. Alcune di queste nane brune sembrano addirittura ruotare l’una intorno all’altra, formando un complesso binario mai visto prima per questo tipo di oggetti. Ci sono poi corpi in formazione ancora più piccoli, simili al nostro Giove, un globo gassoso gigantesco come pianeta, ma non abbastanza grande per diventare una stella. La caratteristica che accomuna tutti gli oggetti della nebulosa di Orione è comunque la giovinezza, naturalmente in termini astronomici. L’età media di questa nidiata celeste si aggira infatti sul milione di anni, un’inezia se pensiamo che il Sole brilla da almeno 4 miliardi e mezzo di anni e si ritiene che non abbia neppure raggiunto la mezza età.
I “semi” della vita
Nei prossimi mesi, analizzando in dettaglio l’immagine ottenuta da VISTA, gli astronomi si propongono di redigere un vero e proprio “censimento” della popolazione stellare della nebulosa di Orione calcolando la massa e l’età dei giovani astri. Grazie a questo laboratorio naturale sarà possibile ricostruire la loro storia e avere qualche elemento in più per capire come si siano formati il nostro stesso Sole e il sistema di pianeti che gli ruotano intorno. E non è tutto. Tra quei veli di polvere sta venendo alla luce un altro tesoro nascosto: un gran numero di molecole considerate fondamentali nello sviluppo della vita: metano, formaldeide, etere dimetilico, acido cianidrico, ossidi di zolfo e cianoacetilene, un composto che, sottoposto a idrolisi, è in grado di formare la citosina, una delle basi azotate presenti nel Dna e nell’Rna. La loro presenza avvalora una delle teorie più affascinanti sull’origine della vita sulla Terra, secondo la quale alcune molecole provenienti dallo spazio, analoghe a quelle rinvenute nella nebulosa di Orione, avrebbero innescato i processi chimici che, circa 3 miliardi e mezzo di anni fa, hanno portato alla nascita del primo organismo vivente.